Confessioni di una psicologa senza filtro

di Olimpia Parboni Arquati

Libretto di consolazione per cuori sfasciati

The book of love is long and boring
No one can lift the damn thing
It’s full of charts and facts and figures
And instructions for dancing
But I, I love it when you read to me

The Magnetic Fields, The book of love

L’amore è una cosa personale, così personale che buona parte di quello che vivi, lo vivi da solo. Buona parte di quello che chiamiamo amore, è fatto di possibilità che non si sono mai avverate, di accenni a universi fantastici sfiorati, di rimpianti, di rimorsi, è fatto di rancori, di scatoloni mai riconsegnati. Buona parte dell’amore è fatta di deliri e di odio.

Eppure non ne possiamo fare a meno e se ne facciamo a meno, non è impresa facile e comunque devo dire che io non lo credo possibile e nemmeno auspicabile. Il perché adesso ve lo provo a spiegare, è una questione a cui tengo, sia perché mi rendo conto di quanto sia difficile resistere al cinismo di sostituire questa casella dell’oroscopo con qualsiasi altra cosa che ci somigli ma che non lo è, sia per avvisare i miei futuri ex su quanto non sia io a essere complicata, ma la materia.

Più di tutto lo faccio per quelle persone che pensano io sia saggia (pazzi), verso i quali sono tanto dispiaciuta, per tutte le volte che hanno un problema d’amore e l’unica cosa che riesco a dire è niente, non riesco mai a dire niente. Mi dispiace, è che su una cosa su cui tutti sembrano avere tutto da dire, mi sembra sia una forma di rispetto portare silenzio. Però ci posso provare.

Partiamo dalla fine:

LA FINE DI UNA STORIA: ZERO TRUCCHI E ZERO CONSIGLI PER SOPRAVVIVERE, A CHI TOCCA NUN S’NGRUGNA.

Esatto miei cari, se cercavate il self test rapido per scoprire se l’ex era Ted Bundy e quindi potete assolverlo al tribunale delle passioni, v’attaccate. Qui non si delega nessuna responsabilità, qui si soffre da eroi.

Lasciarsi è come il gioco della bottiglia al contrario, capita a tutti tranne eventi eccezionali della statistica e se la punta indica te e l’altro, vi tocca e vi toccherebbe anche se scappaste. Prossima festa, prossimo giro, a voi due, tra sei mesi, a quei due che sembravano così perfetti, quando meno te lo aspetti, a quegli altri che stavano insieme da vent’anni.

Lasciarsi è uno di quei momenti in cui si ferma il tempo. Ognuno di noi ne ha alcuni, spesso hanno a che vedere con la paura, con le cose brutte, con le cose che fanno male, ecco, quei momenti lì, lasciarsi è uno di quelli che tutti abbiamo in comune. Qualcuno si ricorda che stava facendo, come era vestito, si ricorda l’ora, cosa aveva mangiato, un po’ come i terremoti. Qualcuno riesce a incassare la notizia e passa tutta la giornata come se nulla, per poi ritrovarsi in posizione fetale sotto la doccia invocando mamma, qualcuno chiama la mamma, l’amico, l’amica, il fratello, qualcuno l’ambulanza, qualcuno spacca casa, qualcuno si siede, si fuma una sigaretta poi spacca casa, qualcuno si siede e non riesce a fare niente tranne che sedersi e, a metà, respirare. Quello che vorrei dire è che comunque succeda, sarà un brutto momento, vi consiglio di avere a portata di mano un campari soda, quello piccolino, in generale per queste cose e altre, non per favorire il bere sconsiderato, è solo perché ci sono momenti in cui prima di fare qualsiasi cosa abbiamo bisogno di pensare. Mi siedo cinque minuti per pensare a cosa devo pensare, serve a scandire meglio il tempo, mentre diamo il tempo al fatto di sedersi di fronte a noi e dirci “Eccoci qui, è successo e adesso è tutta salita, babe.”

Mi piacerebbe segnalare una serie di cose che il vecchio saggio vorrebbe tu facessi e un’altra serie di cose che invece facciamo:

Non cercare mai per nessun motivo non chiedere niente non dire niente

Butta via cancella non stalkerare non guardare niente

Fatti una bella doccia, un bel vestito e via verso una cena con amici e brindare al domani

Non darti la colpa non ruminare non piangere non correre con le forbici

Non pensarci

Richiamare subito come fosse il centodiciotto, attaccarsi come fosse fastweb, non mollare, risponderà, in mancanza di risposta chiedere in maiuscolo sia al destinatario che a tutti gli dei PERCHÈ A ME COSA HO FATTOOO, in mancanza ma come in presenza di risposta, inviare telegrammi, piccioni, fax, libretti illustrativi, esplicativi, con le frecce, in formato pdf e presentazione powerpoint delle proprie ragioni indipendentemente dal possederne o meno

Attaccarsi ai ricordi come alla bombola di ossigeno fino a consumarsi i polpastrelli, chiedere aspettativa dal proprio lavoro per dedicarsi part time più serale, a stalking livello pro di qualsiasi cosa possa fornirci traccia dell’inspiegabile cookies mai letti compresi

Inchiodarsi su qualsiasi superficie immobile come farebbe un orso polare sull’ultima lastra di ghiaccio, io non scendo da qui per nessun motivo, se volete portarmi dei viveri sono qui, ma non ho intenzione di lavarmi mangiare vestirmi mai più per protesta, non esiste nessun domani dal momento che ho perso la mia unica vera ragione di vita e voi siete degli stronzi a non capire

Sono fatto della stessa materia di cui sono fatti gli errori, non riesco a pensare a nient’altro, devo tornare a casa a pensare sul divano a quanto sto male, devo piangere, voglio stare da solo, mi sento solo, lasciatemi da solo, perché mi sento solo, non mi toccateee

Penserai solo a questo. Solo e soltanto a questo. Al fatto che è finita, fi-ni-ta, saludos amigos, ci siamo visti, ci manderemo forse gli auguri a Natale, tra un paio d’anni, forse. Forse ci incontriamo una volta in spiaggia, tu con un ragazzino in braccio o forse io, magari alle poste, quelle mattine in cui uno esce trascurato, magari a una cena di amici che non sapevamo comuni tra trent’anni, tu senza capelli o magari io, forse non ci incontriamo mai più, fatto sta che ci siamo persi.

Una delle cose che vorrei fare, è fare un gruppo di auto aiuto tra cuori sfasciati, in cui ognuno condivide piccoli successi quotidiani e si battono le mani, per cose tipo bravaaaa Mariaaa che ha fatto la docciaaa, bravooo Carlo che mangiato un pasto caldooo, così, a piccoli gesti di autonomia, a piccole cose dopo cose in cui riesci a fare anche senza, perché chi si è appena lasciato parla un linguaggio tutto suo, che gli altri è vero non possono capire, che è vero risulta due palle pure a chi ti vuole bene, che però ha bisogno di stare lì per un po’, ricordandoci sempre che l’amore finisce, ma tende a tornare, e questo sarà un altro capitolo, intanto, come diceva uno psicoanalista giapponese, rispondendo “sudare” a chi gli chiedeva cosa fare durante un attacco di panico, io direi che se per caso sei a questo punto, una cosa giusta la puoi fare, buon pianto e a presto.

Olimpia

Attacchi di panico o vita di merda?

La sveglia suona e tu non sei manco sicuro di esserti addormentato sul serio. Ti alzi con la stessa grinta di un ciccione agli ultimi metri di una maratona.
La macchinetta del caffè è sepolta sotto sette strati di ruvidezza e piatti sporchi che non hai ancora lavato perché di lavori non ne fai uno, ma tre o, contando i fine settimana, pure quattro.

I soldi sono comunque pochi e quindi quella storia di mettere lo scaldabagno a gas è un capitolo di un futuro non scritto, allora a metà doccia l’acqua diventa tiepida e a fine balsamo la brutta copia della pubblcità brrr brancamenta. Esci di casa in ritardo perché l’unica verità è che non hai nessuna fretta di correre a sederti per fare il tuo lavoro numero 2, sottopagato e avvilente. Il traffico si mangia l’ultima fetta di buonumore residuale perché lì fuori è pieno di gente come te che corre verso una fetta di pane secco mentre sogna le aragoste.

Dopo due km di spossatezza e bestemmie lo senti che arriva, ti pompa dentro come una cassa a 4/4. Sudarella, cuore in gola, tremori q.b. e quella maledetta paura di impazzire morendo, di morire impazzendo, di svalvolare come un hooligan nudo in mezzo a uno stadio pieno senza poter scappare. Taaac, è fatta. Ti pietrifichi come se la medusa t’avesse appena guardato dritto nell’anima e rimani lì inchiodato al sedile, i clacson ti risuonano nel cervello tipo derby della capitale e tu decidi che tutto sommato se arrivasse ET e ti portasse via su una navicella forse forse riusciresti pure a ricominciare. Invece ti arrendi all’inarrestabile condanna, come se ti fossi beccato un’epatite, come se non potessi farci proprio niente se non soccombere inginocchiato e sempre fedele al dio PANICO.

Secondo le mirabolanti statistiche, quelle che io considero false verità, rassicuranti perché mascherate da linguaggio matematico, un essere umano occidentale su tre oggi soffre di so called attacchi di panico. Nemmeno la peste bubbonica, la SARS,  l’AIDS e il colera tutti insieme hanno mai mietuto tante vittime. Ma può mai essere davvero così che stanno le cose?

Ogni volta che devo fare un esame all’università e non ho studiato, mi vengono gli attacchi di panico.

Ogni volta che devo vedere quello che mi piace ma che mi caga poco, mi vengono gli attacchi di panico.

Ogni volta che vado al supermercato e c’è una fila che pare il casello della A1 a ferragosto, mi vengono gli attacchi di panico.

Ogni volta che vado a ballare in mezzo a mille persone tutto fatto, in uno spazio chiuso e senza ossigeno, mi vengono gli attacchi di panico.

Ogni volta che, come un pecorone, decido di andare al centro commerciale la domenica pomeriggio, mi vengono gli attacchi di panico.

In generale, ogni volta che devo fare una cosa orribilmente pesante per la salute della mia testa e del mio fisico, mi vengono gli attacchi di panico.

Grazie al cazzo mon ami, come dicono a la Sorbonne, grazie al cazzo che ti senti così.

Ma tu lo sai che gli animali, quando si trovano davanti a un pericolo, possono fare solo due cose? Attaccare e sperare di sopravvivere, oppure paralizzarsi come fa il mio cane quando lo ciocco che vuole salire sul letto e pensa che se rimane immobile allora diventa anche invisibile. E noi, scimmioni nudi che non siamo altro, per quale motivo al mondo dovremmo avere una modalità più fine ed evoluta quando tutto ciò che abbiamo intorno delinea a chiari tratti l’autoritratto della perfetta vita di merda?

E però la verità è che quello scoppio di fronte alla tremendissima vida loca in qualche modo ti salva anche il culo. Ti protegge dall’ipertensione, dalla possibilità di un colpo al cuore, dal rischio di trombosi e in qualche misterioso modo magari pure dalla cellulite o dalla caduta dei capelli.

Quando una cosa funziona un pochino noi ci prendiamo tutto il braccio. E allora giù ad attacchi di panico per fuggire da tutto il peso della vita e dalle responsabilità. Perché errare è casuale, perseverare è umano.

Un attacco di panico può diventare la scusa perfetta per non fare proprio più un cazzo. Non vado a lavorare perché oh mio dio se poi succede? Non mi infilo in discussioni ad alta tensione emotiva o intellettuale perché oh mio dio se poi succede? Non esco più perché là fuori il mondo è roulette russa e da un momento all’altro mi toccherà avere a che fare con le ferite che necessariamente mi capiteranno. Perché sì, la vita è na battaglia, tanto vale perdere la guerra rinunciando a combattere o limitandomi a fare una passeggiatina giusto prima del coprifuoco, affrontando solo le situazioni in cui sono sicuro che non potrà capitarmi mai niente, con le spalle coperte e il culo parato.

E allora, mon ami che adesso mi odierai perché pensi che io ma che ne so, che nessuno lo può capire, ti chiedo scusa per essere stata così brutale ma qualcuno doveva pur dirtelo che la paura degli attacchi di panico è niente se la paragoni a quella di rimboccarsi le maniche fino alle orecchie e farsi un gran culo per costruire intorno a te un vago dipinto impressionista di qualcosa che somiglia alla felicità. E qualcuno doveva pur dirtelo che ogni volta che rinunci alla vita alimenti la paura di vivere, perché i mostri nel cassetto possono diventare enormi se non ti decidi mai ad aprirlo e sistemarli come si fa col cambio stagione.

Quindi, mon panic’s ami, domattina indossa il tuo vestito migliore e prometti a te stesso che non userai le tue paure come scudo per le responsabilità e comincerai a colorare la tua vita di merda con pennellate di coraggio, come arcobaleni timidi dopo anni di tempeste.

Olimpia Parboni Arquati

Manifesto

Questo è il posto dove parlerò di psicologia

Questo è il posto dove parlerò di psicologia secondo me

Questo è il posto dove parlerò delle cose che riguardano le persone

Cosa NON troverai qui dentro:

Non troverai manuali rapidi per capire quanto sei matto

Non troverai consigli magici per essere più felice

Non troverai un muro del pianto per lamentarti in compagnia

Non troverai tante altre cose che pensavi di sapere per sentito dire

Tu, qui, non troverai la chiave

Non troverai te stesso

Ma se saprò raccontartela bene

potrebbe darsi che ti venga voglia di cambiare casa

invece di sbattere la testa sempre contro la stessa porta

E ci saranno invece

Storie

Tante storie

Tanti esempi

Riflessioni

Riflessioni polemiche

Polemiche e basta

Falsi miti

Dialetto

Parolacce

Qualche verità

tantissime ironie

Ma soprattutto ci sarà la psicologia

Che di logico ha solo il nome

E per questo è ora di parlarne con parole comprensibili

Con le parole che useresti anche tu se fossi me.

Olimpia Parboni Arquati