Confessioni di una psicologa senza filtro

di Olimpia Parboni Arquati

I veri duri non vanno in vacanza

Questi sono i giorni dell’eterno sudore, questi sono i giorni in cui la notte la passi fifty fifty tra grattarti i polpacci dai pizzichi delle zanzare e girovagare like a cotoletta tra le lenzuola.
Sono i giorni in cui il basilico sta alla grande ma tu ti senti appassito come un’uvetta. Perché questi, ladies & gentlemen, sono sopratutto i giorni del domandone.

Dal parruchiere, al mercato o in ufficio, tutti che a un certo punto tirano sempre fuori dalla tasca lui, il domandone. E così come se fosse un arrivederci ti fissano e ti chiedono: Allora dov’è che te ne vai in vacanza?

A questo punto le cose sono due:

1- La sai. Se la sai senti subito che ti sale come un tiepidino nella pancia, come quando ti beccano preparatissimo e ti viene subito un’aria un po’ sorniona tipo il gatto Garfield. Sorridi con self confidence e parti dritto col siluro. Il contenuto della narrazione a questo punto diventa molto ma molto vario, eppure non è difficile ritrovare certi modelli di vacanziere doc.

Quello che invidio di più è senz’altro il vacanziere iperorganizzato, in pratica il più secchione di tutti. Questa creatura mitica è sempre sull’orlo di una partenza incredibile e di solito piuttosto lunga. Laos&Cambogia, Islanda&Tutti-i-ghiacciai, Isole-piccolissime-sperdute&ancora isole-piccolissime-sperdute. Il vacanziere avventuroso riesce ad organizzare le vacanze così bene che alla fine ci rimane sotto a sta storia delle vacanze. Da settembre a giugno dell’anno dopo giù a carrellate di foto in posti così belli che fanno sembrare il tuo miglior viaggio, una gita della domenica a Mondragone. E’ lo stesso che il primo Ottobre sta prenotando il cottage per capodanno e il 2 di Gennaio la Spa per il primo ponte.

Poi c’è il vacanziere da transumanza, che come un paguro si carica tutta la casa da giugno a settembre, riempiendo ogni spazio nella macchina secondo piani studiati da anni.  Li riconosci subito in autostrada,  intravedi una figura umana dietro le sacche con le ancore disegnate, l’ombrellone e le buste con dentro la spesa. Loro sono quelli che ti dicono che si vanno a “fare un po’ di mare“, eppure tu hai la sensazione che sia il mare che finisce per farseli. Non vanno mai veramente lontano, giocano in casa anche fuori casa, come quella famiglia che conobbi in spiaggia. Quindici persone, due gazebi, quattro tavoli, generatore uno, frigoriferi due e ghiacciaiette di tutti i colori. Il vacanziere da transumanza lo riconosci dall’abbronzatura al di fuori dalla norma fino a novembre ma dall’aria comunque un po’ stressata.

Tra i vacanzieri che la sanno ci sono inoltre quelli All inclusive, quelli che scovano la migliore offerta, che comprende già tutto quanto tranne i souvenir. L’all inclusive non si ferma mai per più di 5 o 6 notti perché quel pacchetto di felicità se l’è scavato facendo a pugni con le ferie e quindi non vuole sentire cazzi. L’importante è staccare tutto e attaccare l’aria condizionata, non perdersi nemmeno un buffet (esotico passi ma se trova due spaghetti non gli dispiace). Questo vacanziere tanto lontano non ci va, ma nemmeno tanto vicino, è il moderato per eccellenza. Tranne all’atterraggio perché batte le mani e per quel cappello di paglia con cui sbarca, che rimane sempre poco naturale e molto opera romana pellegrinaggi in gita.

2-Oppure succede che non la sai. Tu in vacanza non ci vai e quindi non la sai. L’anno scorso ci hai provato e hai promesso a te stesso che l’avresti fatto meglio, invece eccoti qua, bello sfigatone mio con le ciabatte appese al chiodo. Racconti a te stesso che alla fine a te andare in vacanza non ti piace nemmeno, troppi sbattimenti per poi magari ritrovarti col tuo vicino di casa come vicino di tenda in campeggio, troppe aspettative, troppi bagagli da fare e disfare, troppa sabbia incastrata tra le dita dei piedi quando si fa sera. Sarà mattina e sarà sera e sarà autunno senza che tu te ne accorga nemmeno. Dalle zanzare alle foglie secche nel tempo di un tramonto se non ti impegnerai a piantarla oggi di rimandare i progetti di felicità a domani. Non leggere quelle cagate che parlano di depressione estiva, non sei depresso, ti rode il culo ed è molto diverso. Non sono nemmeno i soldi, io e te in fondo lo sappiamo che l’unico vero punto è saper giocare d’anticipo ma senza farsi venire l’ansia.

Sfigatone, ascolta, la risposta quest’anno non ce l’hai, però puoi sempre trovare il modo di raccontarla. In fondo rimanere mentre tutti se ne vanno, non è di per sé una figata colossale, però nemmeno una condanna a morte. Tu sei così tosto che non sei al di sopra delle mode, sei al di fuori delle mode.

Quando ero bambina mia madre le merendine non me le comprava mai perché pane e cioccolata era più sano, però ce n’era una che mi piaceva proprio tanto. Soldino si chiamava ed era un mattoncino con una moneta sopra, tutto foderato di cioccolato.  Io staccavo la moneta, la mettevo da una parte e me la mangiavo solo quando tutti gli altri avevano finito. Che piccola testa di cazzo penserete, invece no. Avevo solo capito che se una cosa mi capitava raramente allora dovevo trovare il modo per farla diventare  unica e che anche io volevo avere quello che avevano tutti, solo che lo volevo avere quando non ce l’aveva nessuno.

E allora vacanzieri di tutto il mondo, vi confesso che mi capita di immaginarmi un giorno in una crociera da 7 giorni e 7 notti, facendo avanti e indietro sul ponte con un lungo abito bianco che svolazza come il mio ventilatore di plastica, chiedendomi se domattina a colazione troverò di nuovo il burro fatto a forma di riccioli. Vi confesso che vi invidio tutti, per come prendete la vita per le palle e le fate capire chi comanda.

Io che sono una sfigatona certe volte mi dimentico delle stagioni, mi dimentico delle scadenze e mi dimentico anche delle cose piccole che fanno stare bene. Penso sempre ai ricordi ma una bella calamita sul frigo ce l’attaccherei senza vergogna. Quest’anno è andato così, il prossimo sarà meglio, il prossimo comincia adesso e io conservo la monetina finché non trovo il desiderio giusto.

Olimpia Parboni Arquati

Odio gli psicologi

Odio gli psicologi che mentre tu parli di quello che hai mangiato a cena, loro si chiedono quanti conflitti irrisolti ti porti dentro. Quelli che se arrivi in ritardo ad un appuntamento di cui non te ne frega niente, ti dicono che si tratta di una resistenza inconscia.
Quelli che per difendersi da una scelta cattiva danno del narcisista patologico alla persona con cui stanno uscendo ultimamente. Odio gli psicologi che incasellano il dolore della gente dentro le definizioni statistiche che trovano sui libri, perché denominare le cose fa stare meglio loro, e non la gente. Quelli convinti che se non riescono ad incasellare niente mica pensano che l’esistenza quando fa male non ha confini, ma che gli esperti stanno lavorando su come chiamarti quando sei triste in un certo modo. Quelli che parlano sempre di depressione e mai di tristezza, sempre di dipendenza e mai di cattivo amore, sempre di disturbo bipolare e mai di carattere di merda, sempre di ansia e mai di paura.

Odio  gli psicologi che fanno certe diagnosi ai bambini e a leggerle sembrano il curriculum di Vallanzanska, perché si dimenticano che sono bambini ed è normale che non ci vogliano stare zitti e muti seduti al banco per ore, spesso perché gli insegnanti sono annoiati e quindi annoiano, non perché sono deficienti nell’attenzione. Gli psicologi mica ci pensano a quanto fa male essere piccoli, che mica lo sai com’è essere grandi, e la vita che hanno è tutta quella che conoscono. E allora chiamiamoli deficienti, così crescono sempre con la stampella e quando la vita arriva davvero, loro davvero si sentiranno indietro. Speciali mai, solamente strani.

Odio gli psicologi che dicono che i vecchi di 90 anni soffrono di duemilacinquecento cose, ma come fate a dimenticarvi che se hanno campato fino ad oggi si possono permettere il lusso di svalvolare come cazzo vogliono. Ma chiamiamola come si chiama, si chiama paura di morire, che cazzo. E questo a che pagina sta del tuo manuale, eh?

Odio gli psicologi che pensano che per fare gli psicologi bisogna vestirsi da tristoni senza personalità, che ai convegni vagano come pecore in cerca del pastore e poi si invaghiscono del primo venditore di fumo. Tra tutti, odio quelli che si attaccano a falsi idoli imbevuti di presunzione e ignoranza ma li chiamano capi carismatici, mentre si fanno scucire migliaia di euro per avere qualcuno che ti infarcisce di ovvietà. Attaccati come le calamite di cattivo gusto al frigorifero, come una tribù di cozze attaccate allo scoglio. Rendetevi conto che sembrate i proseliti di una setta, più interessati alla scalata sociale che a fare di questo mestiere un’arte.

Odio gli psicologi che pensano ancora che la psicologia la possono chiamare scienza e non si concedono un minuto di umiltà che sia uno solo, cazzo, per rendersi conto che nel migliore dei casi è, appunto, un’idea di arte. Quindi non va copiata, va prodotta creativamente. Quelli che si affezionano ad un approccio, che nel mondo, di approcci di psicoqualcosa, ce ne sono centinaia. Ma come pensate di sceglierne uno che sia sempre valido sopra a tutti gli altri mentre lì fuori le persone non ne hanno centinaia di colori, ma migliaia e migliaia. Quelli che non capiscono che a furia di incasellare tutte le tristezze dentro a un nome che finisce per -patologia, producono il risultato opposto, invece di curare, lanciano esche di nomi altisonanti a cui la gente si affeziona per amore dell’identità e quindi alla fine il dolore lo creano invece che alleviarlo.

Odio quelli che non si leggono mai un libro che non sia di psicologia, che sottovalutano l’antropologia, la sociologia, l’etologia, la fisica, la filosofia, che non conoscono l’etimologia di nessuna parola, che la poesia non insegni niente sulla vita, che Shakespeare, la musica e le saggezze di tuo nonno non siano importanti per saper parlare.

Vi odio perché mi fate pensare che ho sbagliato tutto. Mi fate dimenticare di quello che sognavo quando ho scelto di fare il mestiere più folle del mondo e venire voglia di andare a costruire tutti muri di mattone dove servono, per il resto della vita, invece delle armature sterili con cui vi difendete dall’incertezza. Vi odio perché togliete la libertà a voi stessi e pensate di essere tanto fichi invece siete solo dei burocrati. Esattamente. Siete i peggiori di tutti perché vi sentite grandi esploratori dell’animo umano ma ogni mattina vi mascherate da impiegati e timbrate un cartellino che un giorno o l’altro vi farà sentire secchi dentro. Vi odio perché ve ne approfittate, siete come giovani reclute con il porto d’armi, abusate della vostra divisa e invece di pallottole sparate cazzate, che possono fare male come un colpo al cuore. 

Vi odio perché è per tutti quelli come voi che la gente coltiva i pregiudizi per cui, quando ci presentiamo, pensano tutti troppo male o troppo bene. Non siamo quelli che capiscono senza parole, non siamo quelli che leggono nei pensieri, non siamo nemmeno i cani che danno del malato a chi è solo fuori dalla norma. I malati siete voi tutte le volte che applicate alle vite degli altri le regole rigide del positivismo, in cui tutto deve per forza essere spiegato e se non ci riuscite vi sentite male.

Odio gli psicologi che raccontano ad altri psicologi di quanti pazienti hanno e raccontano ad altri psicologi di quanto sono matti i loro pazienti, applicando solo sarcasmo e nessuna pietà oppure applicando solo compassione da quattro soldi e manco mezzo grammo di ironia. E quelli che nello studio ci mettono l’enciclopedia Treccani ereditata e mai aperta, ma ce la mettono perché fa lusso e fa cultura. Ma metteteci una pianta piuttosto e cominciate a vedere se sapere prendervi cura di lei, ovviamente senza senza fare diagnosi di mutismo selettivo e raccontarle che sicuramente è verde perché è verde di rabbia irrisolta. Odio quelli che nello studio invece ci mettono tutti i pezzi di carta che hanno collezionato negli anni, religiosamente inquadrettati  e rendono la parte così gonfia e pesante che sembra il catalogo punti Conad quando è fine stagione e il cassiere ti da il via libera per arraffare il set di pentole e coltelli. Ma porca puttana, si tratta pur sempre di una stanza, l’obiettivo è quello di arredarla e farla sentire accogliente. Siete come quelle famiglie che in salone tengono solo l’argenteria, tutto da mostrare e niente da raccontare.

Le persone che vi danno da lavorare non sono pazienti, sono degli eroi. Io li chiamo sempre eroi perché considero eroico alzare il culo dalla sedia e alzare il culo dai propri problemi, attraversare una città, trovare parcheggio, spendere dei soldi, tutto per risolvere problemi che alla fine tengono pure compagnia e non è mica facile dire addio. Eroe è chi fa tutto questo sapendo che dovrà parlare di cose che fanno male, davanti ad uno sconosciuto, in un ambiente chiuso, dove tutto pesa doppio e lo fa sapendo che molto probabilmente gli verrà voglia di piangere. I pazienti a volte potremmo essere noi, perché la pazienza è una virtù che serve quando tu vedi una soluzione ma il tuo eroe non è ancora pronto a scambiare un antico dolore con una nuovo capitolo tutto da scrivere.

Se avessi voglia di regalare a me stessa più tempo per odiare e meno per amare e fumare sigarette, allora credo che vi odierei di più ma lì fuori c’è un sole che scalda e io voglio imparare da lui che cosa vuol dire sentirsi tiepidi dentro, quindi oggi non ho più tempo per i vostri modi agghiaccianti.

Olimpia Parboni Arquati

L’insostenibile pesantezza dei vostri selfie

Primi piani di pizze mezze mangiate, primi piani di tette completamente strizzate, panoramiche mal tagliate comprensive di alone di dito fronte obiettivo, carrellate del vostro animale domestico stile shooting di Kate Moss, cataloghi da arredamento d’interni su come procede l’agghindamento della vostra nuova cucina a gas e ognuno di voi aggiunga mentalmente a questa lista ciò che di più inutile e invadente vi capiti davanti durante i vostri virtual tour nei social network, tanto la mia domanda sarà sempre la stessa: ma che cazzo state a fa?

Dico sul serio, ma non sentite quel sottile sapore della vergogna ogni volta che esagerate con l’esposizione world wide dei cazzi vostri? O almeno, avete presente quei momenti in cui vi capita di sentirvi in imbarazzo per qualcosa che qualcun altro sta facendo? Io dico che ce l’avete presente tutti ma che quando ognuno pensa a se stesso trova scuse incontrovertibili sul perché abbia dovuto condividere una fetta di banale intimità sulla pubblica piazza. Ma le scuse non bastano, qui c’è bisogno di un richiamo all’eleganza. C’è chi esagera per quantità e chi esagera per vanità, comunque sia state esagerando.

Avete presente quella tizia che ha fatto i soldoni facendosi fotografare dal proprio fidanzato boccalone mentre gira il mondo? Dai quella inquadrata da dietro che lui gli tiene la manina. Ok, un’amica tempo fa mi espresse la profonda invidia che provava verso costei, sta fica, sta stronza, roba così. Allora io andai a cercare che facce avevano mai questi due che di lei si vedeva solo il capello lungo e biondo, di lui il braccetto peloso ma saldo. E insomma i due sono tipi normalissimi o addirittura bruttini. La mia sensazione fu simile a quando scoprii le facce di quelli di Mai Dire Gol, il signor Carlo pare mi zio e io mi aspettavo Superman, la verità toglie sempre qualche grammo alla magia. E sì, girano il mondo insieme e pare che facciano solo quello. Alzarsi, andare in Thailandia e scattare foto invidiabili della schiena di lei. Ma nessuno ci pensa che quella roba che vediamo è soltanto un quadratino di verità, non è il puzzle intero.

Ok, lo ammetto, una quantità X di selfie me li so sparati pure io. In effetti lo facevo già quando c’erano ancora i rullini e allungavi il braccio sperando di riuscire a beccare sul serio la tua faccia. Però una cosa era profondamente diversa e non parlo dello sviluppo dal fotografo straight from the 90’s, ma del fatto che prima nelle foto che ti scattavi da solo ridevi sempre, perché era una cosa da imbecilli e quindi il sorriso da imbecille era né più né meno di quello che dovevi fare. Adesso invece no.

Adesso c’è una serietà imbarazzante in queste facce da papera che non riescono a fare a meno di inquadrare anche il cesso sullo sfondo e nei tizi che se ne sparano duecento tutte le volte che vanno in palestra. A proposito di quest’ultimo gruppo, io una volta ci sono uscita con un selfiepalestrato e, regà, ve giuro, almeno una volta al giorno ricevevo una foto in canotta. Senza didascalia, senza un accompagnamento musicale che so, un commento qualunque sul meteo, niente. Solo un book di fotografie in canotta ed espressioni zoolanderesche. E io, che in fondo sono una frescona, provavo a rispondere con cose ironiche tipo il selfie davanti alle gocciole in offerta, ma va da sé che nei meandri del circolo canottiere, l’ironia non è un membro ben accetto. E però fatevela una cazzo di risata, ma mamma non ve l’ha mai detto quanto siete belli quando sorridete?

Nella mia fresconità ogni tanto penso di voler fare un profilo instagram con i selfie tagliati invece che con quello che casualmente si ottiene al duecentesimo scatto. Senza ritocchi, senza filtri ma anche senza scrivere #nofilter eh, solo le scene tagliate. Quelle che avete pure voi sui vostri telefonini. Sì, anche tu, non sgranare gli occhi di scettica sorpresa. Anche tu hai una sfilza di quadratini in cui somigli a Slimer dei Ghostbuster, col doppiomento da cattiva inquadratura e il colorito verdognolo. Poi ci rifletto e penso che la concorrenza di donne papera mi straccerebbe in pochi istanti. Va bene signore, per adesso avete vinto voi, non parteciperò alla pubblica piazza con la mia faccia da buffona. Vi lascio tutto lo spazio per le vostre serissime pose, non vi dico che a volte sembra più l’espressione di una persona che soffre di stitichezza, non vi chiederò dove diavolo ci andate truccate così tanto alle 9 di mattina, non vi chiederò dove nascondete il tutone grigio che ha fatto i pallini di cotone e che tutte le persone che conosco possiedono in qualche angolo dell’armadio, ma sopratutto, non vi chiederò di smettere.

Però vi vorrei chiedere di riflettere e pensare si sia necessaria quest’abbondanza. Voi non ci pensate ma facendo così diventate mainstream e il mainstream non è la moda, è solo la media della normalità. E voi, volete essere normali oppure volete essere eccezionali? Non vi andrebbe per caso di farvi desiderare dal pubblico e che tutti si chiedano Oh ma chissà che avventure sta vivendo mai in questo momento? Guardate che è molto fico non abusare di se stessi, lasciare un alone di mistero e far pensare che magari anche voi siate partiti per chissà dove a fare chissà che cosa, invece di regalarci quotidiani quadratini di foto scattate male in cui forse siete pure venuti bene, ma il rotolo di carta igienica, i peluches sullo sfondo e l’eterno ritorno dell’uguale tolgono un sacco di poesia alla vostra bellezza. 

A quanta gente dovete piacere prima di piacere a voi stessi? Quanti pollici, quanti ve ne servono per ricordarci che non è bello ciò che piace ma è bello ciò che stupisce, come le onde quando stai sul bagnasciuga, che sembrano tutte uguali e invece non lo sono perché ti fanno sorridere il cuore senza fare nessuno sforzo, ed è per questo che le guarderesti per ore ed ore.

Olimpia Parboni Arquati

7 botte di culo quando ti mollano

Goodbye my love hello solitudine. Il giro di giostra è finito e ti hanno chiesto di scendere come si fa con i cavalucci che hanno i meccanismi arrugginiti. Tu non sai perché, io nemmeno, dio nemmeno, la controparte, di solito, nemmeno.
E infatti non staremo qui a fare l’autopsia dei motivi e delle ragioni come se fosse la divisione alla lavagna tra buoni e cattivi. A zì, t’hanno mollato, shit happens. Non sei né il primo né l’ultimo a farti questo giro obbligato in purgatorio e lo sai pure te. Per questo voglio raccontarti di alcune cose che secondo me possono rivelarsi grandissime botte di culo, se solo sarai disposto a vedere la medaglia di questo rovescio.

Prima di fare la lista ti voglio dire una cosa: mai al mondo ti direi che sono proprio 7, possono essere infiniti. Ma non potranno mai essere zero. Dico 7 come i peccati capitali, le virtù teologali, i nani. Dico 7 più che altro perché la matematica ci rassicura e ci fa sentire meno in colpa di essere esseri finiti in uno spazio e tempo infinito. Anzi, dico 7 perché quando prendevo 7 a scuola sapevo sempre che ero abbastanza giusta per essere né la migliore né la peggiore, ma il massimo che potevo essere con le energie che avevo addosso.

1- Da oggi sei libero di fare schifo. Esatto, ho detto schifo. Se sei una donna devi assolutamente approfittare del momento per concederti una volta tanto il lusso di farti crescere i peli come si deve e prendere un appuntamento postdatato per farti una ceretta come quelle che facevi quando ti sembrava una cosa esotica, perché hey, lo sappiamo tutte e due che l’estate è un casino e i mezzi casalinghi non sono la stessa cosa e che ci rompiamo le palle a correre sotto la doccia col tosaerba prima di ogni meeting lungimirante. Se sei un uomo, tuttapposto amico mio, non devi cambiarti per forza i calzini tutti i giorni ma sopratutto non devi preoccuparti se stasera hai voglia di grattarti le palle e niente di più. Lo potrai fare indisturbato. E senza quel martello pneumatico che ti annaffia le orecchie e ti incita a crescere e maturare come si fa co’ le piante.

2- Cogli l’occasione per risentire vecchi amici. Quello lì che s’è sposato e ha sfornato una pagnotta, bravi, quello. Che so mesi che dici domani domani e pure se forse non avete più un alfabeto in comune, avete un sacco di ricordi. Eddai che ci hai pensato spesso, prendi du pastarelle sotto casa e vagli a dire che gli vuoi bene. Coccolare il nostro passato fa bene al nostro futuro, non essere egoista. E poi comunque, come ti ascolta un vecchio amico, nemmeno tua mamma quando hai voglia di piangere. Gli puoi fare due palle così e imperterrito terrà botta con la tipica calma orientale di chi è passato dall’altra parte della barricata.

3- Risenti la musica che sentivi quando eri un adolescente brufoloso e pieno di passioni. Risentila a tutto volume, piazzati i Nirvana o chi per loro a palla e balla come faceva Accorsi Jr. roteando le braccia aperte in mezzo al prato. Fallo sotto la pioggia, fallo sotto la doccia, fallo mentre esce il caffè o mettiti le cuffie per andare a buttare la monnezza, ma fallo. Nessuno ti giudica, nessuno ti darà del mainstream, indie, vattelapesca, perché stavolta sono solo cazzi tuoi. Tuoi e dei tuoi vecchi idoli, che ti faranno sentire pieno di brufoli di nuovo, ma anche pieno di passioni che nessun altro deve capire. E pieno di futuro incerto e maledetto.

4- Guardati allo specchio. Sì, semplice dici? Ma quando mai? Hai passato del tempo a guardarti attraverso gli occhi di un altra persona e ti sei dimenticato che le tue chiappe oppure la tua panza, hanno stretto un legame clandestino con la forza di gravità. Coraggio eroi, guardatevi bene e ditevi se non c’è per caso qualche pezzo che avete trascurato come si fa con una casa abitata da tanto tempo. Guarda quella macchia di umidità che hai negli occhi e sfodera tutta la sapienza dei tutorial per ristrutturare le stanze più trascurate. Sei di nuovo sul mercato, datti una rinfrescata per dio.

5- Sei di nuovo sul mercato. Oh cazzo. Puoi piano piano pensare che ad un certo punto ti arriverà uno di quegli sguardi che il tuo ex amore ormai lanciava solo ai pranzi della domenica. Invece adesso hai l’occasione di svettare in mezzo a una tavolata di antipasti freddi. Basta fare il pollo mascherato da aragosta, il potere dei primi sguardi è una roba fenomenale. Del primo bacio, dei primi messaggi, delle prime nuove occasioni per rovinare tutto da capo come se fosse la prima volta. Ao, ma hai capito che ficata?

6- Goditi questa nostalgia. Oh, la nostalgia. Bisogna esserne grati e accendere un cero perché ogni malinconia è una cicatrice di felicità. E le persone con i graffi hanno un sex appeal che sovrabbonda. Sono giustificate se fanno errori, se hanno bisogno di essere venute a prendere, se a metà festa vogliono andare a casa, se fissano le stelle o solo il vuoto più del necessario. Nessuno ti dirà niente perché tu, eroe, sei un cazzo di superstite. Al massimo ti chiederanno con timidezza come stai e tu potrai rispondere, senza imbarazzo o aspettative: Sto di merda. Sto di meeerda!!! E ricevere quel misto di rispetto e timore che ricevono tutte le vittime dei disastri naturali. Hai presente un pugile dopo un incontro quanto sembra saperla lunga, si? Che sia KO o tutto OK non importa. Ha combattuto e si vede.

7- Dulcis in fundo. Toccare il fondo ti è concesso, lì dove sono gli abissi troverai le cose che in superficie non si vedono. Non avere paura se è tutto buio, lo sguardo poi si abitua e tu sarai l’avventuriero che si spingerà oltre, che viaggerà dove molti non azzardano, che vedrà piccole luci lì dove l’occhio non arriva. Nessun grande poeta ha mai scritto niente perché traboccava di felicità et joie de vivre. La creatività viene dalla mancanza, il vuoto dal pieno, la rivoluzione dalle regole imposte. E allora, mio eroe, raccatta quelle palle, mettile al centrocampo e ricorda che il tiro stavolta sta a te.

Miei nostalgici eroi, voi che state lì a contorcevi di dolore, questo non è un consiglio, questo è un dovere. La vita non è mai quello che ci capita, non è un terremoto o un’onda anomala, è più quello che riusciamo a farci con quello che ci capita. Ti hanno dato merda, allora bonifica, ti hanno dato diamanti, allora rivendili, ti hanno hanno detto che non eri abbastanza, allora head up e dimostra a tutti che sei meglio di quanto pensavi di essere. Non è una cosa ovvia, non è una passeggiata di salute ma è la tua occasione per avere un’altra opportunità di dire al mondo, di dire alla parte più severa di te stessa, “Se pensavi che non ce l’avrei fatta avevi ragione. Questa la vinci a tavolino, stattene in cima alla classifica, io vado a volare solo, come fanno le cazzo di aquile reali. E guardami volare, perché io non conosco rancori né vendette. La dimenticanza è l’unico perdono e l’unica vendetta.”

Palla tua.

Olimpia Parboni Arquati

Ti amo troppo quindi ciao

Oggi lì fuori c’è un tempo di merda e quindi ho deciso che voglio parlarvi di una cosa che nessuno vuole sentirsi dire. Mettetevi scomodi, accendetevi una sigaretta e preparatevi alla secchiata fredda. Nessuno salva nessuno MAI.

Se vi innamorate di una persona più triste di voi le probabilità di uscire brandendo la coppa campioni sono le stesse di chi spera di vincere alla lotteria senza nemmeno aver comprato il biglietto. Aiutatemi a dire zero.

Questo è il fucking errore che tutti quanti facciamo più di una volta durante il viaggione che chiamiamo vita. Una roba che nasiamo da lontano, come l’aquila che vola alto punta il serpente che striscia, noi il poverello che ha bisogno di essere salvato, o la poverella eh, non sono mai stata femminista. Le donne siamo fiori, basta co’ sta storia di tirare fuori le palle ad ogni costo.Quindi questa capacità di errore è una delle cose più democratiche che conosco.

La capacità di aprire la via maestra all’inculata è una roba che facciamo con le migliori intenzioni, però a una certa tocca applicare la ragione pure ai sentimenti e stare attenti a prendere le cotte abissali solo per qualcuno che abbia un livello di felicità simile al nostro.

Ti voglio e vorrei fare duemilaesedici cose insieme a te, ma ho paura.

Penso che tu sia un essere umano superfigo, ma ho paura.

Stare con te è bellissimo, ma ho paura.

Paura de che? Ah sì, di soffrire. Quindi ti inculo io prima che lo possa fare tu.

Non fa una piega, queste frasi fanno solo due palle cubiche. Non provocano solo sofferenza, quella che il baldo coraggioso cerca in tutti i modi di prevenire. Producono soprattutto un profondo senso di scoraggiamento verso tutti quelli che rompono il cazzo implorando felicità e poi, se poco poco capita, non sanno cosa fare.

Perché vi chiederete? Perché la libertà, signori, fa molta più paura della galera.

La libertà, la felicità & other big cazzi ci definiscono meno. Dietro le sbarre della sofferenza e della solitudine stiamo più tranquilli, abbiamo tre pasti al giorno, tre metri quadri di spazio, un’ora d’aria e le altre 23 per sognare di tutto quello che ci manca. In galera saremo pur ristretti ma almeno abbiamo la nostra infelicità tutta per noi, completamente sotto controllo, completamente nostra.

Invece gli altri sono enormi vallate col sole più caldo di noi e per camminarci dentro ci vuole coraggio.

Ogni volta che scegliamo qualcuno peggio di noi, per livello culturale, educazione, ambizione, capacità in genere di stare al mondo, noi pensiamo di fare cosa buona e grata, invece facciamo una grandissima cazzata.

In prima battuta il nostro amato ci ammirerà, ci chiederà dove siamo stati fino ad ora, ci cercherà come il cammello l’acqua, ma poi si scontrerà col fatto che noi, volendo, stavamo bene pure da soli. E questa, signori, è na roba indigeribile.

Mi ricordo di un ex lover che un giorno mi raccontò di avermi messo le corna in spiaggia con Pinca Pallina. Io mi sentii così di merda che passai tutta la notte  appollaiata sul tetto di casa, a fissare la luna, cercando di vederla tra le lacrime. E poi sparii in religioso silenzio.

Costui, soprannominato da me stessa L’infelice, dopo qualche giorno mi fece, non sapendolo, un grandissimo regalo di coscienza, ammettendo che con la tipa mai che mai ci era andato. Semplicemente mi considerava tanto figa che aveva avuto paura di ricevere presto o tardi ignobili tradimenti e quindi si era così salvaguardato, inventando una tresca mai successa.

Ebbene The Infelix fu pietra importante nella comprensione dell’errore fondamentale. Tuttavia non potevo immaginare che anni dopo sarebbe arrivato un nuovo e ben più prode eroe dei sentimenti ambigui, che mi tenne per ben due primavere tra il non so e il non ti merito, e io carinella provavo pure a dargli vaghi consigli di procedura.

Ma vaffanculo, ma vaffanculo veramente. Vaffanculo a me, a te che lo stai facendo adesso, a tua cugina che l’ha fatto mercoledì e a vostro zio che negli anni ’50 fece lo stesso.

Ogni volta che tra tanti fiori vi scegliete quello marcio, poeta, artista, manager, meccanico o disoccupato, ricordatevi che ne uscirete male. Perché non c’è niente di più pericoloso di una persona che non crede di essere abbastanza, perché non c’è niente di più difficile, nemmeno l’Everest in calzoncini, di attaccarsi a chi già da solo non è un po’ felice.

Tutte le altre volte che ostinati farete il contrario vi capiterà di sudare lacrimoni perché dall’altra parte non ci crederanno mai.

Come puoi amarmi se non lo faccio già io per conto mio? Non starà mai in piedi il vostro tentativo di salvezza, è come raccontare a un’anoressica che è già abbastanza magra. Fatica, fatica e frustrazione. Nello specchio vede altro e  se trovate chi allo specchio non sa guardarsi, allora pensate a me che con tanto cuore vi racconto, senza cercare di salvarvi, che l’unica via giusta è quella con qualcuno che sa già come camminare. Mentre chi va con lo zoppo, non impara a zoppicare, rimane solo indietro. Sudato, stanco e solo.

Non sono i soldi, non è la macchina, non è il precariato, è la capacità di badare a sé stessi e di gestire le proprie prese a male senza prendere a calci gli altri, la qualità più importante che una mamma raccomanderebbe a un figlio e io, in questo giorno di tempo di merda, raccomando a voi.

Olimpia Parboni Arquati

Attacchi di panico o vita di merda?

La sveglia suona e tu non sei manco sicuro di esserti addormentato sul serio. Ti alzi con la stessa grinta di un ciccione agli ultimi metri di una maratona.
La macchinetta del caffè è sepolta sotto sette strati di ruvidezza e piatti sporchi che non hai ancora lavato perché di lavori non ne fai uno, ma tre o, contando i fine settimana, pure quattro.

I soldi sono comunque pochi e quindi quella storia di mettere lo scaldabagno a gas è un capitolo di un futuro non scritto, allora a metà doccia l’acqua diventa tiepida e a fine balsamo la brutta copia della pubblcità brrr brancamenta. Esci di casa in ritardo perché l’unica verità è che non hai nessuna fretta di correre a sederti per fare il tuo lavoro numero 2, sottopagato e avvilente. Il traffico si mangia l’ultima fetta di buonumore residuale perché lì fuori è pieno di gente come te che corre verso una fetta di pane secco mentre sogna le aragoste.

Dopo due km di spossatezza e bestemmie lo senti che arriva, ti pompa dentro come una cassa a 4/4. Sudarella, cuore in gola, tremori q.b. e quella maledetta paura di impazzire morendo, di morire impazzendo, di svalvolare come un hooligan nudo in mezzo a uno stadio pieno senza poter scappare. Taaac, è fatta. Ti pietrifichi come se la medusa t’avesse appena guardato dritto nell’anima e rimani lì inchiodato al sedile, i clacson ti risuonano nel cervello tipo derby della capitale e tu decidi che tutto sommato se arrivasse ET e ti portasse via su una navicella forse forse riusciresti pure a ricominciare. Invece ti arrendi all’inarrestabile condanna, come se ti fossi beccato un’epatite, come se non potessi farci proprio niente se non soccombere inginocchiato e sempre fedele al dio PANICO.

Secondo le mirabolanti statistiche, quelle che io considero false verità, rassicuranti perché mascherate da linguaggio matematico, un essere umano occidentale su tre oggi soffre di so called attacchi di panico. Nemmeno la peste bubbonica, la SARS,  l’AIDS e il colera tutti insieme hanno mai mietuto tante vittime. Ma può mai essere davvero così che stanno le cose?

Ogni volta che devo fare un esame all’università e non ho studiato, mi vengono gli attacchi di panico.

Ogni volta che devo vedere quello che mi piace ma che mi caga poco, mi vengono gli attacchi di panico.

Ogni volta che vado al supermercato e c’è una fila che pare il casello della A1 a ferragosto, mi vengono gli attacchi di panico.

Ogni volta che vado a ballare in mezzo a mille persone tutto fatto, in uno spazio chiuso e senza ossigeno, mi vengono gli attacchi di panico.

Ogni volta che, come un pecorone, decido di andare al centro commerciale la domenica pomeriggio, mi vengono gli attacchi di panico.

In generale, ogni volta che devo fare una cosa orribilmente pesante per la salute della mia testa e del mio fisico, mi vengono gli attacchi di panico.

Grazie al cazzo mon ami, come dicono a la Sorbonne, grazie al cazzo che ti senti così.

Ma tu lo sai che gli animali, quando si trovano davanti a un pericolo, possono fare solo due cose? Attaccare e sperare di sopravvivere, oppure paralizzarsi come fa il mio cane quando lo ciocco che vuole salire sul letto e pensa che se rimane immobile allora diventa anche invisibile. E noi, scimmioni nudi che non siamo altro, per quale motivo al mondo dovremmo avere una modalità più fine ed evoluta quando tutto ciò che abbiamo intorno delinea a chiari tratti l’autoritratto della perfetta vita di merda?

E però la verità è che quello scoppio di fronte alla tremendissima vida loca in qualche modo ti salva anche il culo. Ti protegge dall’ipertensione, dalla possibilità di un colpo al cuore, dal rischio di trombosi e in qualche misterioso modo magari pure dalla cellulite o dalla caduta dei capelli.

Quando una cosa funziona un pochino noi ci prendiamo tutto il braccio. E allora giù ad attacchi di panico per fuggire da tutto il peso della vita e dalle responsabilità. Perché errare è casuale, perseverare è umano.

Un attacco di panico può diventare la scusa perfetta per non fare proprio più un cazzo. Non vado a lavorare perché oh mio dio se poi succede? Non mi infilo in discussioni ad alta tensione emotiva o intellettuale perché oh mio dio se poi succede? Non esco più perché là fuori il mondo è roulette russa e da un momento all’altro mi toccherà avere a che fare con le ferite che necessariamente mi capiteranno. Perché sì, la vita è na battaglia, tanto vale perdere la guerra rinunciando a combattere o limitandomi a fare una passeggiatina giusto prima del coprifuoco, affrontando solo le situazioni in cui sono sicuro che non potrà capitarmi mai niente, con le spalle coperte e il culo parato.

E allora, mon ami che adesso mi odierai perché pensi che io ma che ne so, che nessuno lo può capire, ti chiedo scusa per essere stata così brutale ma qualcuno doveva pur dirtelo che la paura degli attacchi di panico è niente se la paragoni a quella di rimboccarsi le maniche fino alle orecchie e farsi un gran culo per costruire intorno a te un vago dipinto impressionista di qualcosa che somiglia alla felicità. E qualcuno doveva pur dirtelo che ogni volta che rinunci alla vita alimenti la paura di vivere, perché i mostri nel cassetto possono diventare enormi se non ti decidi mai ad aprirlo e sistemarli come si fa col cambio stagione.

Quindi, mon panic’s ami, domattina indossa il tuo vestito migliore e prometti a te stesso che non userai le tue paure come scudo per le responsabilità e comincerai a colorare la tua vita di merda con pennellate di coraggio, come arcobaleni timidi dopo anni di tempeste.

Olimpia Parboni Arquati

L’inestimabile potere della rosicata

Vi siete conosciuti e vi siete piaciuti.

Hai passato giorni a rincoglionire tutti i tuoi amici con i dettagli del miracolo d’amore che manco un venditore della Folletto l’avrebbe fatta così lunga.
Andava tutto bene, bene come nelle telenovelas quando prendono il taglio cuori, capanne e passioni. Ma poi è successo che è cominciato ad andare tutto male.

Quella che fino all’ ultima scarica di messaggi su watsapp ti sembrava la storia fantastica da qui a per sempre si è trasforma in gelido silenzio e oggi sudi freddo ogni volta che senti drin e ti incazzi ogni volta che, invece di una struggente dichiarazione d’amore, trovi un messaggio incomprensibile di tua mamma che somiglia a kjjhjgkkfhgjtl oppure la perfida e snervante intrusione del gruppo “Quelli di ferragosto” dell’anno scorso che ti mandano nostalgiche braciolate in foto solo perché oggi fa di nuovo caldo.

Ti stai fumando la duecentesima sigaretta mentre rispolveri canzoni di rara pesantezza che mettono in imbarazzo i tuoi vicini mentre ti ripeti che non hai sbagliato niente e dentro ti partono delle grida profonde che invocano perché, perché, perché? La solita maledizione, eh? La solita sfiga. Capitano tutte a te, una nuvola gonfia di stronzaggine ti perseguita come un’ombra. Non ti innamorerai mai più, ti darai avidamente alla pastorizia di alta quota, alla costruzione di muri di mattoni nell’Africa più nera e vivrai di meditazione e astinenza. Hai presente di che cosa sto parlando, vero? Vero.

E se io ti dicessi che penso di sapere dove c’è stato l’intoppo, tu mi crederesti? Stavolta credo di no. Ma credo anche che forse potresti farlo se ti svelassi un buon segreto che invece viene sempre considerato un’eresia. Ti parlo, mia cara e sfigatissima anima candida e sola, dell’inestimabile potere della ROSICATA.

Ebbene sì, la rosicata. La strategia d’attacco, le mosse calcolate, le tattiche studiate e tutto ciò che di meschino e zozzo puoi inventarti per fare in modo di renderti più desiderabile.

Io??? Ah no, io non sono quel tipo di persona, mi dirai tu. Io quando mi piace qualcuno gioco a carte scoperte, io sono stanco di queste manipolazioni, non mi piacciono questi giochetti, li facevo a 15 anni, non servono, che schifo, che schifo.

Ah sì, eh? Bene. Quindi tu non sei quel tipo di persona che desidera ciò che non ha, tu sei un fortissimo apostolo zen unto dalla serenità interiore che non rosica mai e l’erba del vicino non la guarda proprio nemmeno di striscio. Tu non rimani male quando le cose che desideri non arrivano quando le desideri, non ti viene mai voglia di fare una cosa quando ti fanno credere che non la puoi fare e, in generale, ricevere un no, ti procura un senso di appagamento e beatitudine. Insomma, tu non sudi, non fai la cacca e l’ultima volta che hai mangiato una schifezza erano ancora gli anni ’90.

Ma falla finita, tu non sei così, tu sei come me, che sono come gli altri che sono come te. Tu come me e come tutti rosichi abbestia in molteplici occasioni, nun ce provà.

Tu hai fatto un errore dolce dolcissimo ma grossolano, ecco che cosa è successo. Ti sei preso la cotta e hai pensato bene di vomitare addosso all’altro tutta la valanga di emozioni, sensazioni, parole. Duecento messaggi al giorno, buongiorno, buonanotte, buon pranzo, mi ami? Mi amerai mai? Non ti piaccio abbastanza, lo sento. Che cos’è questa freddezza? Oggi che fai? Ah, hai da fare eh? E domani invece? Non ti ha risposto subito e allora hai chiamato con la tremenda scusa di volerti sincerare che andasse tutto bene e non fosse successo niente. Niente alieni o lutti familiari, niente disastri nucleari, niente malfunzionamento dell’operatore di turno. Avoja te a controllare che la suoneria funzioni. Funziona, funziona. Anche la rosicata ha funzionato benissimo e adesso tu sei lì a volere tantissimo quella persona e a mandare altre comunicazioni da brivido tipo “Eddai, vediamoci, anche solo un’ora, fammi spiegare.” Eh no baby, evidentemente hai sminchiato alla grande e non ti daranno indietro nemmeno un giorno per rimettere le cose nel posto in cui stavano prima. È tardi e non c’è proprio niente che tu possa fare.

Anzi, una cosa da fare c’è. Tu adesso puoi imparare come si fa a sbagliare meno e a pararti il culo meglio. Per questo c’è (quasi) sempre tempo.

La rosicata ha fatto tombola su di te, è ora che tu cominci a produrla e controllarla, invece di subirla e non poterci fare nulla. Per prima cosa togliti dalle manine quel cazzo di telefono, smetti ogni forma di comunicazione, richiesta, preghiera, favore. L’assenza di parole è un messaggio fortissimo, chi sta dall’altra parte ti sta dando per scontato, quindi stupiscilo. Anche il più restio a voler sapere di te in questo momento ci rimarrà un pochetto male se tu scompari. Anche il più restio a vederti subirà lo spietato fascino della rosicata. Come è successo a te, a me, eccetera.

Non c’è niente di eretico nel considerare lo spazio degli altri senza invaderlo con le proprie paure, ansie, fantasmi del passato e scatoloni di richieste. Eretico sarebbe negare che spesso confondiamo il desiderio con la pura e semplice rosicata. Per esempio, ma che non ti è mai successo di innamorarti di qualcuno che mai avresti pensato? Eh sì, mi dirai, è che ha fatto tutte mosse giuste e quindi alla fine…alla fine t’è salita.

Questo, mia cara anima che si lecca le ferite che da sola si è procurata, è un grandissimo potere. Il potere di farci volere non per quello che siamo al centro del nostro cuore (quello è un lavoro da sante mamme), ma per quello che offriamo di quello che siamo al centro del nostro cuore. Pensa a un amico che ti martella tutti i giorni con pesantate miste e quando noi svagheggiamo per prendere ossigeno allora va in paranoia e ci chiede se va tutto bene. Ammazza che palle, no?

In effetti dovremmo prendere qualche spunto in più dal modo in cui trattiamo i nostri amici e applicarlo anche alla sfera della grande A. E non mi venire a dire che è diverso, è semplicemente meno urgente.

Se da oggi in poi vorrai prendere meno picche e più cuori comincia ad allenare la pazienza e studia le tue mosse invece di delegare al poveraccio di turno tutto il peso dei tuoi pensieri. Coraggio, si tratta di quella vecchia storia di non fare agli altri ciò che non vorresti e via dicendo. Fai in modo che l’altro rosichi come sai fare tu e allora si struggerà per te proprio come sai fare tu.

Difficile? Beh, a me sembra più difficile combattere i postumi dell’inculata. Che poi se deve arrivare arriva eh, però a te, ti rimane la dignità di non aver sbrodolato tutto come se non ci fosse un domani. E la dignità è un sacco sexy.

Più di ogni altra cosa, lascia l’altro libero di sognare. Fallo immaginare, fatti desiderare. E tiratela, tiratela senza che si strappi. Comunica le tue ansie ma fallo in modo costruttivo e non violento.

“Oddio sei proprio una persona pericolosa tu…” lo devi dire ridendo e con l’occhio sornione invece di dire “Oh no, mi stai piacendo troppo, non va bene” con la faccia angosciata da giovane marmotta persa nel bosco. Non ti dico mica di stare solo zitto eh, buono in un angolo a generare rosicate passivamente. No, devi giocare un passo avanti e mezzo indietro, come una scacchiera, come se stessi ballando, come una persona che ne conosce un’altra e, a passi delicati e pensati, ne invade i pensieri. Perché se c’è qualcosa di più sexy della dignità, è proprio l’ambivalenza che lascia i sogni liberi di continuare.

Quindi non ti accollare, impara a danzare.

Olimpia Parboni Arquati

Manifesto

Questo è il posto dove parlerò di psicologia

Questo è il posto dove parlerò di psicologia secondo me

Questo è il posto dove parlerò delle cose che riguardano le persone

Cosa NON troverai qui dentro:

Non troverai manuali rapidi per capire quanto sei matto

Non troverai consigli magici per essere più felice

Non troverai un muro del pianto per lamentarti in compagnia

Non troverai tante altre cose che pensavi di sapere per sentito dire

Tu, qui, non troverai la chiave

Non troverai te stesso

Ma se saprò raccontartela bene

potrebbe darsi che ti venga voglia di cambiare casa

invece di sbattere la testa sempre contro la stessa porta

E ci saranno invece

Storie

Tante storie

Tanti esempi

Riflessioni

Riflessioni polemiche

Polemiche e basta

Falsi miti

Dialetto

Parolacce

Qualche verità

tantissime ironie

Ma soprattutto ci sarà la psicologia

Che di logico ha solo il nome

E per questo è ora di parlarne con parole comprensibili

Con le parole che useresti anche tu se fossi me.

Olimpia Parboni Arquati