Confessioni di una psicologa senza filtro

di Olimpia Parboni Arquati

La posta di Olimpia-Ho fumato troppe sigarette piangendo nel buio

Cara Olimpia,

Io sono una di quelle che ha avuto una vita generosa e non si è mai trovata ad affrontare disgrazie degne di un post traumatico. Però ho voglia di ammorbarti, perché anche se ci siamo parlate per poco qualcosa di te mi ha messa a mio agio. 

La mia storia più importante l’ho avuta a 18 anni ed è durata 4 anni. È stata una storia bellissima, la prima in cui mi sono sentita veramente amata e a cui ho dato non tutta me stessa… Di più. Quando è finita è stato un trauma non solo per il distacco – che come tutti quelli che hanno amato e perso sanno, è un po’ come un lutto – ma perché ho dovuto guardarmi allo specchio e ammettere a me stessa che il modo in cui vedevo le cose, lui, me e il nostro rapporto, era molto distaccato dalla realtà. Ah, l’amore! Nulla soddisfa di più l’ego di chi è libero di amare l’oggetto del suo amore…

Voglio raccontarti un episodio che per me è stato significativo, che ha cambiato il corso della mia storia con lui e che può ben riassumere il tipo di rapporto che avevamo davvero, quello che da fuori non vedeva nessuno

Avevo preso i biglietti per un viaggio, con un anno di anticipo usando tutti i miei risparmi, e organizzato una caccia al tesoro per tutta Roma per farglieli trovare per il suo compleanno. La sera ci ubriachiamo, ovviamente. Io ho sempre avuto il senso della misura, lui no. Per riportarlo a casa – totale di 20 minuti a piedi e 4 fermate di metro – ci metto circa 3 ore. Arriviamo in camera, lui sta fuori, ma diceva quanto mi amava, quanto era arrapato, ed io lo accontento non so neanche come o perché. Del dopo ho solo un flash. Gli sto facendo un pompino, ma c’è qualcosa che non va, inizio a piangere, ma non mi fermo. Le sue mani mi tenevano i capelli e spingevano con forza la mia testa. Cosi, fino alla fine, con me che piango. Finisce. Io mi tiro su, tutta sporca e singhiozzante, mi pulisco la faccia e mi giro verso di lui, addormentato in una frazione di secondo.

Mi siedo li sul cornicione della finestra, fumo e piango, per ore, non riuscendo a realizzare cosa fosse successo. Non so quando, lui si è svegliato, mi ha chiesto perché piangevo, e non so cosa gli ho detto. Ricordo solo che dopo lo abbracciavo mortificata e gli dicevo ”Non ti preoccupare, non fa niente”.

2015, sono in camera con il mio nuovo ragazzo, che è anche un mio collega, che è anche un santo. Ho iniziato a frequentarlo poco dopo aver chiuso la storia con il mio ex – e qui serve un’altra e-mail per spiegarti cosa è accaduto. Be’, diciamo che era il tipo di persona che quando mi ha trovato, depressa, schifosa e sul fondo del fondo del fondo, non si è tirato indietro, non mi ha voltato le spalle dicendo che ero una stronza, matta, o un’ipersensibile. Anzi, mi ha detto che mi avrebbe aspettato. Ha fatto i turni con quei due amici che mi erano rimasti accanto per aiutarmi a pulire, a fare da mangiare, portare giù i cani, studiare. Lui c’è stato, anzi lui è quello che mi ha insegnato cosa vuol dire esserci, davvero, per una persona.

Tutta la merda cominciava ad avere senso, anche se mi ci sono voluti 6 mesi di psicoterapia solo per rispolverarla un po’ e capire che effettivamente c’era. Tutto aveva senso: il mio non riuscire più a bere e i miei problemi quando il mio ex e i suoi (ma allora miei) amici bevevano, i miei problemi nell’intimità, la mia necessità di partire, mollare tutto a costo di soffrire la solitudine, perché la solitudine era meglio di quello che avevo, del mio sentirmi sempre strana e fuori luogo perché non bevo, perché non amo i luoghi affollati, perché non faccio sesso come un film porno e perché non squirto per dimostrare a quello che era il mio ragazzo quanto è bravo a farmi godere. Insomma, una disadattata che doveva guarire, che doveva cambiare.

Invece fanculo, io ero questo. Io ero quella che non ti avrebbe mai detto di no per non vedere un’espressione triste sul tuo viso, quella che preferiva farsi fare del male, per poi sorriderti e dirti di non preoccuparti, pur di non veder andare via qualcuno che amava e che per la prima volta mi aveva fatto sentire che valevo qualcosa. Io ero questo al punto da dimenticarmene per quasi 4 anni, tanto non volevo vedere la realtà. Tanto ero insicura da lasciare che la mia mente si auto proteggesse, rimuovendo le cose, senza neanche degnarsi di avvertirmi.

Questo è solo un aneddoto, che lascia il tempo che trova e che a ripensarci adesso non è poi così sconvolgente come quando lo ho vissuto. Eppure è indicativo, credo, di un modo di essere. Che era il mio modo di essere, ma che so appartenere a tante altre persone. 

Per cambiare, ho prima di tutto dovuto capire che fosse giusto cambiare, che nonostante il dolore che si prova a lasciar indietro una parte di sé… la crescita implica proprio questo: cambiare. Anche se poi la gente se ne va perché un improvviso amor proprio da una così viene di rado capito, anzi, poi diventi pure na stronza egoista che osa dire quello che pensa e onorare i suoi sentimenti, figuriamoci chiedere che vengano rispettati.

Ora sono una persona nuova, o meglio, sono me stessa sempre. E devo fare un elogio alla psicoterapia per questo. Perché se cambi tu, cambia il tuo ambiente e tutto ciò che ti circonda.

Ora sono serena e ho capito il valore di quella frase così banale, eppure così vera: prima di tutti, ama te stesso.

F.

 

Cara F.

Benvenuta in quella parte di mondo abitata da persone che amano gli altri come dovrebbero amare se stessi o come di solito le madri amano i loro figli. Senza chiedere risposte, aspettando, perdonando, asciugandosi le lacrime anche quando vorrebbero piangere un Mississippi di dolore.

Quando mi capita di sentire storie che vanno al di là del sopportabile mi ricordo sempre i due stessi aneddoti, che forse anche loro lasciano il tempo che trovano. Il primo è una frase di una vecchia amica, con la quale mi lagnavo di essere figlia unica e dovermi occupare di mille sbattimenti e preoccupazioni senza poter dividere la responsabilità con nessuno. Lei mi risponde “Olimpia, se sei figlia unica vuole dire che è successo solo perché sei in grado di reggere tutto da sola” e mi mette il cuore in pace nonostante la tautologia. Il secondo riguarda una professoressa che durante lo scambio culturale con Parigi, mandò tutti in famiglie che abitavano in centro. A me invece mi spedì in aperta campagna, a due ore e mezzo di treno dalla città, in the middle of the mucche e dei salici piangenti. Dopo un paio di anni, quando glielo chiesi, mi disse che l’aveva fatto perché ero talmente abituata a viaggiare che di sicuro sarei stata l’unica a tollerare quella fatica. Sta stronza.

Volevo dirti una cosa ma non voglio che suoni come se stessimo in qualche terribile talk show dove tu hai il viso oscurato e io un’improbabile piega cotonata. Però grazie per averci avuto tanto coraggio a raccontare quello che ti è successo e come è successo. Su questo non ti dirò niente perché penso che non serva nemmeno. Non ci sarebbe diapositiva più chiara per dire come ci si sente quando si abbassa la testa tutte le volte che non si dovrebbe.

Secondo me la cosa che fa più male tra tutte è quella che nessuno ci riconosca lo sforzo. Di fare quello che non vogliamo, di non dire quello che pensiamo, di trascinarci i pesi ubriachi per ore e per anni anche se pesiamo meno della metà. Dico proprio nessuno che ci dica oh comunque brava, apprezzo il tentativo, l’importante è partecipare. Niente, nemmeno un portachiavi ricordo per la presenza.

Nessuno ci ringrazia e per nessuno intendo ovviamente nemmeno noi. Noi cominciamo a starci sul cazzo da soli per permetterci certe cose e magari a pensare che siamo brutte persone e che non ci meritiamo niente di più di quello che abbiamo. Quindi finisce che chiediamo anche scusa, a noi stessi, agli altri, a mamma e papà per non essere coraggiosi e per non alzare la testa. E forse è lì che si inceppano i circuiti e andiamo avanti per anni senza nemmeno capire chi sia il colpevole e chi la vittima. Ma rimaniamo colpevoli di non capire che se non ce ne accorgiamo da soli di essere vittime non è detto che arriverà mai qualcun altro a salvarci. C’è qualcosa dentro di me che mi dice che la vita sarà più generosa con te finché glielo permetterai e che non ti capiti mai più di metterti tu da sola in situazioni invece più che degne in un post traumatichino eh.

Ci sono modi eroici per morire e modi molto più eroici per vivere e per entrambe le cose bisogna trovare prima un significato, uno qualunque. Vanno bene tutti tranne quello del sacrificio. Non ce l’ha fatta quel signore barbuto in mutandoni di cui parlano tutti e non vedo perché dovrebbe essere compito nostro. Saremo pure cresciuti in una cultura in cui questa cosa ad un certo punto viene apprezzata ma alcune spinte evolutive dipendono anche da tutti i nostri piccoli gesti. Non può essere la vittoria magari ultraterrena, di chi ha sofferto di più. Bisognerebbe dedicarsi alla felicità con un po’ meno vergogna.

Quello che ti è capitato dopo e chi mi auguro ti capiti per tutto il resto della tua vita non è nient’altro che quello che tu hai fatto prima per qualcun altro e quindi forse è soltanto la cosa più giusta che poteva succederti. Ecco, qui però stai attenta, esserci per l’altro è la prima cosa e non deve essere l’eccezione o il miracolo. Ci si vuole bene quindi ci si protegge, tutto il resto è una guerra e di queste ne è già pieno tutto il resto del mondo.

A proposito di talk shows del cavolo dove si parlava di uomini che amano troppo e quindi te menano, non me la sento di dire quello che penso ma sono sicura che esistano uomini ed esistano donne che da soli non si amano proprio. Forse nemmeno si conoscono o non si fidano di loro se stessi, non lo so. Ma se non ci vogliamo bene da soli è più facile che ci convincano a rimanere in una relazione mediocre o comunque lontana dai nostri sogni, perché a un certo punto smettiamo proprio di farli.

Quando la psicoterapia funziona è soltanto perché ci siamo rotti le palle che le cose vadano in un certo modo e sì, come hai detto benissimo tu, siamo disposti a cambiare e quindi a ricominciare a conoscerci dall’inizio ma anche a correre il rischio di essere più felici di come eravamo. Adesso che ti sei diventata più amica di come eri prima ricordati sempre che devi viaggiare leggera e piangere solo davanti a chi ti consola e chi ti riporterebbe a casa anche dopo esserti scolata l’acqua di tutti i tergicristalli di Roma senza nessuna paura.

E non portare mai sulle tue spalle più di quello che riesci a sopportare perché non sei su questo mondo per caricartelo addosso ma casomai per ballarci dentro.

Olimpia

 

La posta di Olimpia-Sul senso dell’inquietudine e dell’orgoglio

1-Cosa posso fare se non mi sento per niente bene con me stessa? Brutta, insoddisfatta e non riesco a cambiare. Grazie per eventuali consigli.

R.

 

Cara R. quando ho letto la tua domanda mi è preso un colpo perché avrei voluto improvvisamente essere uno di quegli oracoli dell’antica Grecia che tu facevi una domanda e loro ti davano LA risposta. Che poi era sempre una cosa incomprensibile ma nessuno aveva il coraggio di chiedere ao, si vabbè ma che hai detto? Ciò nonostante ti sparavano una frase che era quella e basta. Un po’ come un biscotto della fortuna al ristorante cinese: Fai cose che fanno stare bene spirito perché spirito di essere umano sempre importante.

Invece sono solo Olimpia la rompicoglioni e quindi farò una di quelle cose che fanno venire voglia di sbattere i pugni sul tavolo e che è fastidiosa come le unghie sulla lavagna: io ti risponderò a una domanda con un’altra domanda perché altrimenti entreremmo in un tunnel filosofico senza uscita in cui ragionare sul concetto di insoddisfazione e di bellezza fino a spingerci al perché diavolo abitiamo in una palla sospesa nel vuoto infinito e chi ci ha messo qui.

Però devo dirti che per essere una domanda ha un nome molto incoraggiante che non gli ho dato io ma un tizio americano che fu psi molto prima e molto meglio di me. Lui la chiamò la domanda del miracolo. (Piccolo intervento nerd: lui si chiamava Steve de Shazer e aveva una faccia molto simpatica. Lavorò a lungo insieme alla moglie coreana, psi pure lei, con la faccia simpatica pure lei. Nella mia testa na specie de John Lennon&Yoko Ono delle cose dell’anima).

È una di quelle cose che ho studiato che mi piacciono un sacco e trovo sia un buon metodo per cominciare a prendersi cura dei problemi perché ti costringono a metterli sul piatto, guardarli, contarli e sentire quanto pesano. E fa grosso modo così: “Mettiamo che stanotte succede un miracolo e tu domattina ti svegli e il tuo problema è sparito. Così, puf, per miracolo se n’è andato ad abitare in un’altra galassia. Qual è la prima cosa che ti farebbe capire che non hai più niente di niente domattina quando apri gli occhi? Pensaci un momento e dimmi in che modo la tua vita sarebbe diversa e cerca di descriverlo con quanti più dettagli possibili.”

Fico, eh? Io non ci avevo mai pensato a chiedermi le cose così. Chiedendole veramente come se dovessi rispondermi e non soltanto pensando al fatto che mi sento di merda la maggior parte del tempo che passo sveglia.

Se funziona? Sissignora, funziona. Dare un nome all’inquietudine funziona sempre e per cambiare dobbiamo prima capire che cosa vogliamo cambiare. Basta questo per togliersi i problemi dalle palle? Assolutamente no ma tutti cammini del mondo cominciano sempre con primo passo, come direbbe il mio invidiato biscotto cinese.

Olimpia

 

2- Buonasera, vorrei chiederle cosa pensa dell’orgoglio di una persona sopratutto quando si impunta nelle sue decisioni e dice di no ritornare mai indietro. Come bisogna comportarsi con queste persone? E come posso fargli capire che mettere da parte l’orgoglio non significa ritornare indietro ma maturare?

M.

 

Cara M. tu sei un tesoro ma non darmi mai più del lei che poi mi risento dottoressa e mi viene da ridere perché mi ricordo della mia prima esperienza da psi, in un ospedale, dove pensavano davvero che fossi the doctor perché avevo il camice bianco, 19 anni e le maniche arrotolate sette volte perché quel coso era enorme e io non smettevo mai di sembrarmi più la garzona del macellaio della Coop che qualunque altra cosa.

Mi sembra di fiutare che stiamo parlando di un maschio che, ahinoi, non ti vuole e non di un gruppo di persone. Potrei sbagliarmi ma voglio giocare d’azzardo.

Allora, io dell’orgoglio della gente penso tutto e penso niente però una cosa la so: quando qualcuno decide qualcosa, se noi cerchiamo di fare in modo che cambi idea, quello si impunta di più e non ti darà mai ragione. Anzi, più ci provi e meno ci riesci. Più ci provi, più rischi che non solo non ti daranno ragione ma non vorranno proprio più sentire nessun tipo di spiegazione. Perché non c’è niente di più sacro, più immobile e più cocciuto delle decisioni che prendiamo. Semplicemente perché abbiamo la naturale tendenza a pensare di avere più ragione noi di quella che hanno gli altri. Perché? Perché mia cara, non c’è nessun cervello con cui passiamo più tempo del nostro, nessuna anima, nessun pensiero. Noi conosciamo tutte le sfumature, gli altri no, quindi che cazzo vogliono da noi?

Se ci pensi è proprio per questo che anche tu pensi di avere più ragione degli altri a dire che gli altri si stanno sbagliando. Ma tranquilla, non è una cosa che non capita mai. È una cosa che capita sempre. Sta capitando anche a me mentre cerco di spiegarti le mie di ragioni.

Con queste persone bisogna prendere spazio e prendere tempo, voglio dire farsi da parte e aprire pure la porta. Secondo te, se quelli vogliono uscire e tu ti metti davanti, non aumenterà la loro voglia di scappare e di avere ragione? Noi tutti quanti vogliamo sempre scoprire come sono le cose che ancora non abbiamo e il perché lo spiegherò meglio un’altra volta altrimenti attacco il siluro.

Dai il buon esempio, metti da parte il tuo orgoglio e intanto vai avanti maturando tu e lasciando andare chi sta cercando di aprire la porta. Tanto solo se li lasci uscire e vedono il resto possono avere l’occasione per capire che magari invece avevi ragione tu e che dentro si stava meglio di come si sta fuori.

Olimpia

La posta di Olimpia-Ho 24 anni e non mi hanno mai amata

Cara Olimpia,

ti scrivo da un giorno di ordinaria disperazione, anzi no: almeno per oggi non è poi così tanto ordinaria, se non altro per il motivo. Sto aspettando la risposta di un messaggio mandato a un mio “amico”, che ha deciso di andarsene nel bel mezzo della conversazione, chissà a fare che: lo spuntino della mezzanotte, pisciare? Tutto può essere. Ho sempre avuto per lui un interesse che va aldilà dell’amicizia. Lui lo sa, perché io gliel’ho detto, ma non corrisponde (?) e l’amicizia continua – spero che tu capisca il mio punto di domanda, corrispondere, non corrispondere, che significa poi? – ora mi ha risposto e vado a vedere. Solo un minutino, però, per far attendere anche lui, mi sembra abbastanza giusto. Non sono mai stata fidanzata, ho 24 anni. Ho mai amato? Beh, questa è più complessa, ma ti direi di si, in forme più sottili, certo, nascoste, mai palesi, ma profonde. Forse ho amato anche molto, dall’interno di un buco nero dove nessuno poteva vedermi. Ho amato nel silenzio, e come accade in questi casi non sono stata ricambiata, e ho perso un po’ la speranza. L’ho persa un po’ del tutto. I. – si chiama così – è l’unico che continua ad abitare i miei sogni, ma aspetta un attimo, devo rispondergli, o diventerà tardi.

E voilà, ha risposto qualcosa che non doveva rispondere. Non importa. È un egocentrico triste che non ammette di esserlo, ed è un sogno che ormai puzza di muffa. Cinque anni sono troppi per un sogno così. E dunque io rimango qui, nella mia cameretta di casa, in attesa di un nuovo giorno per deprimermi. Come si trasforma la paura in voglia, Olimpia? Volevo chiederti questo. Come si rende il tempo un alleato per se stessi? Io sono sempre stata una grande sognatrice, ho sognato talmente tanto che qualche volta mi sento stanca dei miei sogni. Ma la mia immaginazione va da sé, è l’unica parte di me che non si esaurisce mai, insieme alla tristezza. Un connubio fatale.

Mentre immaginazione e tristezza volavano ho fatto l’università di psicologia, con buoni risultati. Ora sto per laurearmi, e poi non so assolutamente quale delle tante sfaccettature della professione “psicologo” vorrò intraprendere. Per ora so solo che ho scelto la psicologia del lavoro e che mi fa schifo – è la prima volta che lo dico così apertamente sai? Nel frattempo cerco di capire quanto la mia infelicità potrà impedirmi di svolgere bene il lavoro che ho scelto.

I sogni sono sempre stati la cosa più bella che ho mai avuto. Eppure questa mattina mi sono svegliata, e ho pensato che sognare era uguale a morire, perché mentre sogni la vita va avanti senza che tu la stia vivendo. Che 24 anni sono pochi per morire, e dovrei iniziare a vivere. E indovina? Non sapevo da dove iniziare. Non consigliarmi uno psicologo, ci vado già da sette mesi e anche se non sembra abbiamo fatto progressi.  Da qualche parte ho letto che le nostre azioni dovrebbero assomigliare più ai nostri sogni che alle nostre paure, e da quel giorno ho paura anche un po’ di sognare. Da dove si inizia? Tu hai scritto in un tuo post che ti è successo quello che succede a tutti: il tempo. Ti devo correggere: con me non ha funzionato neanche lui.

Un abbraccio,

A.

P.s. Mi piace il tuo blog, il nome Olimpia e la posta del cuore: mi ha ricordato che è bello scrivere a qualcuno che non conosci affatto. Mi piaci tu perché hai l’aria di una che ce l’ha fatta, pur conservando tutta la sua normalità e le sue “nevrosi” (passami il termine, non sono nemmeno sicura di sapere bene che cosa significhi ma ci stava proprio bene).

Cara A.,

quando ho avuto questa idea non volevo commuovermi così alla prima botta e lo accetto giusto perché soffro di congiuntivite cronica e l’umidità un po’ aiuta.

Io penso spesso che quando non sai da dove cominciare allora tocca cominciare dalla fine. Purtroppo sono figlia unica quindi ho il vizio di fraternizzare e sorellizzare con chiunque si faccia delle domande che hanno già tolto il sonno a me e perdonami se con te farò lo stesso.

Il tempo inizia a funzionare quando noi cominciamo a romperci le palle di essere come pensiamo di essere e gridiamo basta da un punto così profondo che farebbe uscire l’acqua dal deserto, gli incatenati dalla caverna di Platone e quello spezzatino venuto troppo piccante che tengo in fondo al freezer dal 2008. E secondo me tu ci stai cominciando a stare stretta in quel buco nero nero dove nessuno può vederti. Sai, le cose brillano alla luce, nell’ombra si confondono con i muri quindi staccatici subito perché non sei un cartonicino da parati.

Anche se ti consiglio comunque di vedere questo film che mi è tornato in mente mentre scrivevo “muro”: https://it.wikipedia.org/wiki/Ragazzo_da_parete

Ecco, quando non ne possiamo più di fare sempre nello stesso modo, il tempo diventa nostro alleato perché ci fermiamo ad invertire la rotta invece di lasciarlo scorrere come se stessimo su un tapis roulant. Finché aspettiamo solo un minutino per rispondere a un messaggio e una vita per rispondere a noi stessi corriamo veramente il rischio che diventi tardi. Pensaci, chi sta facendo aspettare chi? Tu il tuo amico oppure la parte che s’è rotta er cazzo de sta’ male aspetta l’altra? Le risposte giuste non compariranno sui nostri telefoni finché sbagliamo le domande e che lo spirito di Kant mi fulmini alle spalle se sto usando male i concetti della filosofia. A tal altro proposito c’è un altro film, preso da un libro che si chiama Guida intergalattica per autostoppisti in cui ad un certo punto viene costruito un grande computer che deve rispondere alla domanda sull’universo, la vita e tutto quanto il resto. The big pc dice che che tra un trilione di anni avrà pronta la risposta. L’umanità tutta si riunisce quel giorno lontano, con trombette e cappellini e tutti in festa quando ecco che la macchina risponde: La risposta all’universo, la vita e tutto il resto è…42! Che cosaaa gridano tutti e the big risponde eh vabbè regà, ma che domanda m’avete fatto pure voi però! Spero di aver reso almeno un pochettino.

Le tue domande sono splendide e curano i miei occhi secchi, però le dobbiamo formulare diverse. Proviamo con che cosa ti aspettavi dall’amore quando eri bambina e come doveva essere il tuo principe ranocchio? Te lo ricordi baby? Perché mi ci scommetto le metaforiche palle che non era certo un egoista triste e un po’ ammuffito. Il poco che ho capito sulle verità dell’amore credo che stia proprio nella corrispondenza (o rispondenza anche), come a dire io ti penso mentre tu mi pensi e sorridiamo insieme perché lo facciamo nello stesso momento.

Tante volte pensiamo che il nostro essere buoni, comprensivi e tendenti alla santità farà in modo che gli altri ad un certo ci ringrazino per il tanto cuore. Invece gli altri cominciano a volerci quando impariamo a dire no e quando smettiamo di aspettare quella redenzione che è compito solo nostro e non dei principi, nemmeno di quelli incoronati, giuro.

24 anni non sono tanti ma non sono nemmeno pochi, probabilmente sono giusti. Quando li avevo io, ho cominciato a vestirmi come una fanciulla e non solo da maschiaccio ma non basterà una vita per insegnarmi a scegliere bene le scarpe e forse nemmeno i fidanzati. Ma io so che le generazioni dopo la mia possono andare più veloci, quindi ti voglio cazzuta e stanca morta della gente moscia per quando spegnerai le candeline di mezzo secolo su questo strano mondo.

La paura si trasforma in voglia e si trasforma in coraggio nell’esatto momento in cui iniziamo a dire basta e ci rimbocchiamo le maniche correndo il rischio che lo facciamo per sentire meglio il vento sulla pelle e non perché stiamo faticando come schiavi nel campo di cotone. Però il requisito fondamentale per costruire il coraggio è proprio quello di cagarsi prima sotto e pensare di non farcela. Vuoi mettere il gusto di stupirsi veramente di essere non cambiati ma solo diventati fedeli alla parte di noi stessi che ci dorme addosso da un sacco di tempo.

Quella cosa tanto bella che hai detto sul sognare e sul morire è il monologo di Amleto. Ehssì, er famosissmo pippone sull’essere e il non essere. Shakespeare glielo faceva dire mettendo bene in risalto che se avessimo coscienza di quello che ci aspetta dall’altra parte, allora ci pianteremmo una coltellata tra le costole visti, sopratutto, gli spasimi dell’amore disprezzato. Ma siccome non ce l’abbiamo tanto vale arrendersi alla sfiga e continuare a soffrire da codardi. Però oh, il principe di Danimarca era un depressone maledetto e comunque aveva avuto una vita di merda e recitava queste cose con un teschio in mano.

Tu invece hai una vita in mano, vedi di stringertela addosso senza permettere che ti tolga il respiro. Esci mia cara A., perché se c’è qualcuno che ti sta aspettando è solo il tuo specchio che vuole vedere come impari a sorridere senza prenderci troppo gusto nella tristezza, che poi ti ci perdi dentro e pensi di meritarti solo quella.

P.S. Dal profondissimo del mio cuore ti voglio dire che i migliori psicologi sono quelli che del dolore ne sanno qualche cosa, altrimenti come faremmo a capire quello degli altri? 

P.P.S. Nevroticona fino al midollo, qualunque cosa voglia dire, qualunque cosa abbia a che vedere con l’essere sempre a un passo dall’essere arrivati perché non c’è niente di più fermo della perfezione.

Sei una cuoriciona, comincia a distribuirti a chi ti cor-risponde, secondo me sei pronta.

Olimpia

La posta di Olimpia

Quando ero ragazzina per casa mia girava sempre Il Venerdì di Repubblica e io lo aspettavo sempre manco fosse la mia mattina di Natale. Appena entrava in casa me ne impadronivo e schizzavo subito a leggere una cosa che in realtà esiste ancora. Saltavo gli articoli di attualità, le recensioni dei libri, i programmi TV e giuro anche l’oroscopo per inchiodarmi su quei due paginoni in cui la gente mandava le lettere e quella signora col caschetto bianco e la lingua pungente, al secolo la giornalista Natalia Aspesi, dava le sue risposte spesso un po’ più acide del necessario ma spesso anche intelligenti e quasi mai retoriche.

Ecco a me quella cosa lì piaceva parecchio e vorrei farne una anche io ma dando la possibilità a chi vuole, di aggiungere un commento, un’opinione un vaffanculo o quello che è perché secondo me è una cosa carina e magari ne viene anche fuori qualche riflessione interessante.

In giro ce ne sono tante di queste “poste del cuore“, fatte da personaggi che si improvvisano grandi guru e fino a ieri facevano le vallette in tv e spesso hanno dei toni così banali e ovvi e il mio edicolante saprebbe dirvelo meglio. Io non penso di essere necessariamente migliore però sono una psicoterapeuta, mi piace leggere e mi piace scrivere ma sopratutto le cose che riguardano le persone sono tra i temi che preferisco.

Quindi dai, facciamolo. Raccontatemi i cazzi vostri, qualcosa che vorreste tanto dire ma non avete il coraggio di farlo, qualcosa che vi tormenta, qualcosa che vorreste cambiare, qualcosa che vi pare.

Io mi impegno a scegliere e pubblicare (ovviamente senza il vostro nome) una lettera con risposta a settimana tutti i lunedì, voi scrivetemi qui: olimpiaparboniarquati@gmail.com 

Tutti meritano uno spazio in cui avere voce

Buon anno eroi,

Olimpia