Ti odio da troppo tempo e quindi non riesco a lasciarti, maledetta Grande Pesca. Tu con il tuo arancione dappertutto, tu che ti infuochi a ogni tramonto, tu che quando piove diventi Atlantide anche se dopo duemila anni potresti anche imparare a reagire quando il cielo lacrima, maledetta tu che mi togli un sacco di cose e poi qualcuna me la dai pure, così io non me ne vado mai ma ci penso sempre.

Itaca piena di buche, piena di macchine, piena di stronzi.

Mi hanno portato via da te quando non sapevo ancora parlare e sono 32 anni che mi manchi anche quando stiamo vicine. Più ti vedo, meno ci capiamo. Meno ci capiamo, più non ti sopporto.

Roma è tanti paesi uno dentro l’altro, Roma non è la capitale dell’impero, Roma non è nemmeno una città, è una giostra che gira al rumore dei clacson e degli insulti.

In questa città non siamo tutti uguali, qui dovunque vai ti guardano ancora le scarpe. Roma cafona, Roma parvenue, Roma vecchia ma adolescente. Roma che ancora si rifugia nel nome dei Parioli ma anche Roma che cerca di riscattare il nome delle borgate. Qui si imita il futuro rimanendo incastrati nel passato. Roma sei solo un centurione con la scopa in testa al posto delle piume, Roma te la tiri senza motivo, Roma coatta de paese vestita a festa fuori dalle chiese.

Qui capita pure che sulle strisce ti facciano passare, ma te lo devi merita’. Capita pure che con te siano gentili, ma te lo devi suda’. Ogni volta che esco di casa ho paura di litigare con qualcuno o che qualcuno litighi con me. Quando pago e mi chiedono gli spicci, mi guardano male se non ce li ho. Eh no, infatti, ce li ho ma mi piace camminare sotto un cielo di insulti, con le tasche piene di monete. Quando ho aperto la partita iva e ho chiesto “Tutto qui?” mi hanno risposto “E non lo so, che vole pure un caffè?“. Quando sono entrata zoppicando al pronto soccorso mi hanno detto “Ao ma come cazzo cammini?“.

Roma si discute e non si ama, facciamola finita con queste glorie antiche e immobili. Città sporca, città mortificante, città mafiosa, città che mi ha insegnato tutte le parolacce che conosco e me le fa sgranare come le palle del rosario.

Roma ti prego, proteggi questi figli tuoi che ti riempiono di cicche spente e di rancori. Roma che farai la stupida anche stasera e non mi darai mai una mano a famme dì de sì.

Pesca maledetta ma tu te lo chiedi mai che cos’è la gentilezza e cos’è la felicità? Tu ti rendi conto che qui la gente si spara per i parcheggi? Ma non hai guerre migliori da metterci tra i piedi? Ma tu, tu che vedi starci male, ma perché non ci lasci andare via?

Saranno i tuoi pini che ti portano fino al mare e l’idea del mare che alla fine ti accompagna. Saranno quei vecchi che fortunatamente ancora incontri, seduti sulle panchine, a borbottare in un dialetto che si è praticamente perso. Tutto quel verde delle ville e quello del tuo fiume pieno di ponti pieno di statue.

Deve essere l’odore delle pizzette rosse dei forni, l’odore dell’asfalto a forma di groviera quando piove e quando arriva Luglio. Saranno tutte quelle canzoni che in mezzo ci mettono il tuo nome e noi che le cantiamo, come una serenata a una che alla fine non te la darà mai ma ti ci fa credere perché è bella. Sporca ma bella, disordinata ma bella, pericolosa ma bella, bella, bella li mortacci tua.

Se io non me ne vado è solo perché quando l’estate torna voglio esserci sempre, a trovare parcheggi impossibili sotto il sole di agosto e a cercare sorrisi impossibili sotto il grigio della tangenziale. Non me ne vado perché per troppo tempo mi sono chiesta come saremmo state insieme e anche se non ci ameremo mai, io lo so che ci vogliamo bene come si può volere a un vecchio amico dell’asilo che non sopporti ma senti il dovere di rispettarlo perché ti riporta a come eri e a come volevi essere.

Io ti odio perché mi stai facendo diventare uguale a te, cattiva ma mai fino in fondo, aggressiva ma mai fino in fondo e bella solo sotto la luce dei tramonti.

E forse in qualche modo io ti amo anche perché amore è cercarsi senza trovarsi mai e volersi senza capirsi mai. Mai fino in fondo.

Continuerò a inciampare sui marciapiedi e a far sbranare le gomme dalle tue strade. A prendermi gli insulti che non mi merito e farmi squadrare i vestiti dai tuoi figli stronzi e cafoni come ho imparato a essere anche io, nelle ore di punta e nelle ore morte. Raccoglierò i fazzoletti sporchi che la vicina di sopra mi lancia nel giardino tutti i santi i giorni, senza dire un fiato, perché ai romani basta una guardata storta per fare male. Starò sempre senza monete per potermi sentire in colpa con i cassieri e tornare sempre a casa con la voglia di sbatterti al muro e dirti tutto quello che penso.

Anche adesso che non so più che cosa sto dicendo, che i termosifoni sono spenti e sto morendo di freddo anche se qui l’inverno vero non arriva mai.

Forse è questo che non me ne fa mai andare, il tuo essere quasi un sacco di cose ma non schierarti mai da nessuna parte. Se fuori da qui sento parlare male di te io metto in pratica tutto quello che mi hai insegnato e infamo tutti perché non si devono permettere. Forse solo noi ti possiamo trattare male e dirti tutto quello che pensiamo perché siamo tutti prepotenti come ci vuoi tu.

Se anche alle madri si deve parlare dell’odio allora oggi lo sto facendo e non so dirti se sarà la prima volta o l’ultima ma posso dirti che io non me ne vado e lo faccio solo perché sei tu che cerchi sempre di mandarmi via e ti dimentichi che so’ de coccio come le anfore, dura come i sanpietrini, solida come il marmo.

Roma tu mi levi la vita, ma io che so’ coatta come mi hai voluto tu, io ti guardo negli occhi, te lo dico in faccia e no che nun te lascio.

Quando non ne potrai più allora fammelo sapere che t’aspetto fuori nel cortile e vediamo chi vince sta rissa. Mi levo tutti gli anelli e ti do tante di quelle botte perché prenderti per il collo è l’unico modo per abbracciarti ancora.

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