Ho trovato per caso il tuo blog e ho adorato il tuo modo di scrivere perché sento che tu percepisci le emozioni di chi sta dietro quelle parole. Non cerco conforto, ma solo di capire.

Noah mi ha lasciato al suo sesto mese e diciottesimo giorno di vita. Era già un bel pacioccone e mangiava tanto. Eravamo inseparabili anche perché non aveva nessun altro che me e sembrava davvero felice.

Disse la sua prima parola proprio quel suo ultimo giorno di vita. Io mi sento sempre triste anche se il tempo passa io continuo a tenerlo dentro di me e non riesco a lasciarlo andare. Lo amo più di ogni cosa al mondo, solo che non posso riaverlo.

Morte in culla l’hanno chiamata ma il mio cuore non ha pace. Nessuna spiegazione, nessun perché, solo il mondo intorno che continua e tu che pensi solo a come smettere di respirare, ma il tuo cuore continua a battere e ti senti assolutamente niente.

Essere mamma è stata l’esperienza più bella della mia vita. Vorrei soltanto capire perché.

Grazie anche se non risponderai come mille altre lettere che ho scritto.

La verità è che non ce la faccio proprio più a vivere e non esiste medicina per questo.

Tania

Ciao Tania, il tuo nome lo voglio lasciare perché è proprio bello come è bello il nome di tuo figlio. Ho fatto passare tanto, troppo tempo prima di risponderti perché sono stata vigliacca e intimorita davanti a un dolore così assoluto. Così come credo lo siano stati tutti quelli che hanno mancato nella risposta. Però vorrei tanto che mi credessi se ti dico che non c’è stato un giorno dal giorno in cui ho letto le tue parole, in cui non ci abbia pensato. Vorrei anche che mi credessi se ti dico che mentre provo a farlo sto piangendo ma non voglio lasciare che mi fermi dal provare a farlo lo stesso.

Non piango spesso per il dolore degli altri, lo faccio solo quando penso che quel dolore sia troppo intenso per essere svilito con le parole e ti giuro non è pietà, non è compassione, è la migliore umiltà che conosco.

Tu lo sai vero che hai già detto l’unica cosa che si può dire? Non c’è medicina.

Questa frase la disse il dottore a mia madre quando la sorella perse la sua bambina di tre anni. Io non c’ero ma me l’ha raccontato e non l’ho mai dimenticato. “Dottore per favore faccia qualcosa per mia sorella, per favore faccia qualche cosa.” Il dottore ha guardato il pavimento e le ha detto signora per questo non c’è nessuna medicina.

Tanti anni dopo ho trovato non so più dove ma ora è nel mio cuore, una storia di quelle credo zen in cui un padre che aveva perso il figlio prova a chiedere a tutti i più saggi del paese il perché e ognuno tira fuori una risposta. Perché questo era il destino, perché la vita è fatta anche di morte, perché adesso è una costellazione, perché ognuno ha la sua croce. Questo padre sconsolato continua a camminare fino a che arriva alla fine del villaggio dove c’è un vecchio vagabondo, che lo guarda e senza che lui dica niente, gli dice “Fa male. Fa molto male.” E lui un po’ si sente meglio non per la risposta ma perché si sente capito. E io decidevo che la psicologa l’avrei fatta così e non in un altro modo. Quindi scusami due volte, per l’attesa e per non saperti dire niente tranne che fa male, non me lo posso realmente immaginare, ma fa tanto, tantissimo male.

Voglio dirti di queste lettere, da dove viene questa idea. Da una lettera che ho letto di uno scrittore che mi piace e che per qualche anno ha tenuto una rubrica simile su un giornale. Ogni lettera fu sempre pubblicata anonima per scelta dell’autore, tranne una, la lettera di Michele, un persona che parlava di suicidio, che non si firmò, ma i genitori resero noto il suo nome tempo dopo. Ti metto qui la risposta perché nella sua incredibile semplicità mi emoziona tutte le volte.

«Mi dispiace molto che lei non abbia firmato la sua lettera. Avrei tenuto nascosto il suo nome ma l’avrei cercata, per telefono, una mattina presto, all’alba, per chiederle che tempo fa nel luogo dove lei abita e per farmelo descrivere nei dettagli. Quei dettagli che, messi insieme, fanno le ore, il giorno, gli anni e la vita che ci è dato da vivere (qualunque essa sia, sempre bella appunto perché imprevedibile come il tempo) e che è tutto, dico tutto, quello che abbiamo».

Tania, anche io vorrei tanto fare questo e dirti di trovare un telescopio e di cercare i pianeti perché pensare all’universo è davvero l’unica cosa di cui mi fidi quando sento che tutto il resto non lo capisco più.

Una donna è madre ancora prima di avere un figlio, lo è quando comincia a volerlo e quando si pensa madre e quando desidera esserlo come non ha mai desiderato niente. Una donna è madre anche senza un figlio ma vorrei con tutto il mio cuore che potessi esserlo di nuovo, per sentire che se hai perso Noah, non hai perso la tua capacità di saper amare in quel modo che un figlio non può capire. Lo so che questa è un’ingenuità terribile da parte mia, lo so davvero. Non so nient’altro di te oltre a quello che mi hai scritto, non so se questo baratro di male sarà mai una cicatrice, ma vorrei che tu non fossi sola, che parlassi con altre donne che sono state vittime di questa esperienza e che vi possiate abbracciare e sentirvi capite guardando negli occhi una dell’altra e sapere che quel posto è il posto giusto in cui fermarsi per un po’.

Sai, sono qui quasi per miracolo e cerco di non dimenticarlo. Erano gli anni ’80 e mia mamma ci aveva provato tante tante volte, per dieci anni interi, perdendone anche uno che era quasi ma proprio quasi pronto e che aveva già un nome. La cosa strana è che l’ho saputo quando avevo l’età giusta per saperlo, ma anche prima ho sempre pensato di essere una da fratello maggiore. Contro ogni aspettativa, contro l’età, contro la religione, contro tutti, un giorno di Aprile la mia mamma ha deciso di giocarsi l’ultima carta senza nessuna garanzia, il giorno dopo Natale di quello stesso anno nascevo io e usciva sui giornali la notizia che la prima bambina nata a Roma con la fecondazione in vitro, sgambettava felice nella sua tutina e si sarebbe chiamata Olimpia.

Per favore Tania non perderti per sempre, sono le madri come te, le madri di cui ha bisogno questo mondo e ricordati che alla morte si può rispondere soltanto in un modo, le si risponde vaffanculo brutta stronza e poi le si risponde con la vita.

Aspetto di sapere ancora di te, una mattina presto di un qualsiasi giorno da qui a per sempre e che tu possa tornare a pronunciare quella prima e ultima parola, in un alfabeto nuovo, che non dimenticherà mai il resto ma che parlerà per sempre.

Olimpia

Commenti