La prima volta che ho sentito parlare di sta cosa sono stata buona. Cioè, ho sentito come un guizzo di voglia di fare a botte ma poi mi è passato. Mi sono sentita proprio come Begbie di Trainspotting quando si lancia la birra alle spalle mentre sta nel pub e fa quel rantolo che gli viene dal profondo mentre si riscalda le nocche. Poi l’ho sentita di nuovo e niente, invece del boccale mi è venuta voglia di fare il lancio del peso con tutto il fusto della birra.
Cominciamo subito dal peggio, gli esperti stanno lavorando su un’App che consentirà rapidamente di distinguere a che grado di ossessione compulsiva relazionale ti trovi tu o il tuo innamorato, dandoti poi istruzioni su come procedere. Ecco questa cosa l’ho letta cinque minuti fa e ho ancora le mani che mi formicolano. E sì, mi pare evidente che non sia una persona dal carattere troppo morbido, ci sono cose che mi fanno incazzare proprio come si incazza mio zio Michele che ha 80 anni mentre sta seduto coi compari sulla panchina e discutono degli acquisti calcistici, alternando lunghi sbuffi a lunghissimi insulti sparsi.
Non lo faccio solo perché arrabbiarmi mi viene facile, in questo caso lo faccio perché davanti a certe perversioni del Positivismo bisogna pur lanciare qualche boccale volante e vedere che succede. Ma vediamo di fare i seri e fatemi procedere con la spiegazione del mio nemico di oggi. Dal 2014 si parla di (anzi, “le ricerche scientifiche rivelano che…” e su questa mi si chiude la prima coronaria) “Disturbo ossessivo compulsivo da relazione” quando in pratica tu o il tuo innamorato passate un sacco di tempo a chiedervi se state facendo la cosa giusta. Se non riuscirete a trovare qualcuno di migliore, se rifuggite come la peste le commedie romantiche, le uscite a quattro, i cuoricini d’argento da appendervi al collo e se conoscere la sacra famiglia della controparte vi produce una sensazione che pare un potente ceppo di influenza intestinale. Quindi insomma, L’Intelligencija vuole che gran parte dei gggiovani adulti si smandruppino di segoni mentali ogni volta che si ritrovano in coppia. Ossessionati dalla giustezza della relazione si smandruppano doppiamente l’anima con domandone da terzo segreto di Fatima tipo chiedere conferme a tutti, panettiere di fiducia compreso, per essere rassicurati che stiano andando bene. E così la mia testolina che ha tante carenze ma forse non patisce di poca fantasia, si ritrova a immaginare scene di te che telefoni a tutta la rubrica dicendo “Oh quanto tempo eh, ma senti un po’, secondo te io e Carletto stiamo bene insieme? Chiedi pure a tua cugina già che ti trovi e fammi sapere. Baci baci.”
In pratica tutti coloro che si interrogano così tanto sul valore della propria relazione, al punto che tali segoni mentali inficiano la qualità del resto della vita, sono affetti da tale disturbo. Chiarissimo, no? Non siamo un po’ vigliacchi, non abbiamo paura di scegliere, non siamo in fondo comuni mortali figli dei nostri tempi che si fanno delle domande sull’amore. No, siamo dei maniaci del controllo che tengono a bada l’ansia rompendo il cazzo al prossimo con i propri suddetti segoni mentali. Molto bene, se le cose stanno così allora io mi metto a coltivare il mio orto come Candido di Voltaire e buonanotte a tutti. Strappo via tutte le mie buone intenzioni e mi dedico alla cura e alla salute del prugno selvatico che mi infesta il giardino, tagliando tutti i rami secchi che mi pare con la motosega e la maschera di Brian così per darmi un tono.
Ma ragazzi, ma Intelligencija, ma stato dell’arte della psicologia, ma come vi viene in mente di non consultare un appassionato di sociologia prima di gridare alla patologia? Io credo davvero che ogni bravo psi dovrebbe avere in rubrica almeno un amico saggio abbastanza che si diletti nelle letture di altri campi, formalmente lontani dalla psicologia ma indispensabili. A tal proposito vi consiglio, per chi non l’avesse mai toccato, la lettura di Amore Liquido di quel simpaticone illuminato di Bauman. Così, a scatola chiusa e senza spoiler.
Che poi quando uno si mette a criticare le definizioni già esistenti pare che debba subito passare dall’altra parte, cioè dalla parte di chi cambia un nome per un altro. E io non voglio. Non penso di aver bevuto un caffè di verità infusa stamattina a colazione né mi sento più capace di altri a dare i nomi alle cose. Sono solo una psi qualunque in un puntino dell’universo a cui piace normalizzare tutto quello che si può normalizzare perché se mi appoggio a tutte le malattie che trovo finisce che oggi mi sento sollevato, ma domani mi sveglio zoppo.
Se volessimo fare del bene ai nostri giorni credo che dovremmo interrogarci più profondamente sul senso della paura in tutte le sue manifestazioni. Però quando la paura tocca l’amore allora io mi tiro indietro, non riesco proprio a mettere in relazione la forza che move il sole e le altre stelle con i manuali di psicodiagnostica. Perché se la nostra voglia di trovare significato non riesce a trovare l’umiltà per abbassare la testa nemmeno davanti all’amore, miei cari, siamo fritti e siamo pure un po’ fottuti. Fottuti dalla nostra stessa paura. O peggio ancora, dalla paura che l’amore ci farà paura. Beh, sapete che c’è, è inutile tenersi il dubbio, le relazioni fanno e devono fare un po’ paura, altrimenti finiamo per portarle allo stesso livello della scelta delle arance dal fruttivendolo. Se non ti muove niente vuol dire che lo stai facendo per solo per sport, a quel punto tanto vale darsi veramente all’ippica, facendo scommesse sulle vittorie di una gioco guidato da qualcun altro e non da noi.
Forse sarebbe lecito allargare l’orizzonte e prendere in considerazione che i gggiovani adulti si ritrovano in un mare di merda esistenziale. In pochi sanno cosa fare “da grandi”, dove andare, come guadagnare, come definirsi in società. Finché queste domande rimarranno tanto aperte e tanto grosse ritengo che patologizzare la cosa più naturale che abbiamo sia un errore poco umano. Come mettere i nostri sentimenti nel vetrino del microscopio e cercare di contare da quanti atomi sono composti.
Credo anche che in tempi come questi (come direbbe mio zio Michele alle panchine) finché manca una definizione di base di se stessi si corre il rischio di appoggiarci così tanto al povero amore che poi per forza che diventa malato. Se mi definisco in base a niente mi rimane solo quello. Insomma, altro che avanguardia, qui si torna indietro di tanti secoli, dove poco valeva chi fossi, l’importante era accoppiarsi in qualche modo per seguire la naturale evoluzione dei mammiferi. Solo che questo ritorno non ce lo possiamo mica concedere negli anni 2000, perché il mondo vuole che siamo anche tanto altro e quel tanto altro ci rimane difficile. Non lo so se mi sono spiegata, forse no perché le mani mi formicolano ancora e oggi ho aperto il megafono senza regolare il volume.
Ragazzi belli, se volete appoggiarvi a questi nuovi mostri lo potete fare, ma il rischio è quello di perdere di vista per sempre il vostro tentativo di definire non la malattia che vi attanaglia, ma l’amore stesso, che forse è semplicemente ineffabile, tuttavia irresistibile. Quindi se qualcuno vi ha affibbiato questo nome, cercate prima nelle altre aree della vostra vita, se siete allo sbando in tutti i sensi allora lasciate stare il disturbo ossessivo da relazione, perché l’unica ansia che avete è quella nei confronti di voi stessi e di tutto quello che di voi stessi non state riuscendo a fare.
La domanda non è se la vostra relazione sia bella abbastanza da continuare a vivere, ma se la vostra paura generale non è troppo grande da trasformarsi in ansia di vivere che mette in dubbio tutto quello ciò che vive. Ah, e non so come dirvelo, ma nessuno saprà mai se i vostri amori siano giusti veramente, io so solo che innamorarsi prevede lo stesso rischio di una mano di poker, prevede fede, e dubbi e domande e paure. Ma sopratutto prevede che voi partecipiate al sentimento, non che passiate la responsabilità al primo manuale di definizioni che trovate sull’ultima rivista di psicologia.
L’unica cosa che dovete veramente cacciare fuori sono le vostre palle, l’ansia riservatela per i veri mostri che la vita ci riserva. Se poi vi sentite comunque scossi dai segoni mentali, sappiate che durante l’università ho lavorato in un sacco di bar e ho una fantastica collezione di boccali da spaccare insieme, mano nella mano, contro il muro di un’ignoranza spaventata che ha l’ossessione di farsi scienza.